Linguaggio, condizione femminile e marginalità sociale nel Medioevo e nel Rinascimento Inglese aa 99/00
Docente: Barisone
Prefazione
- In origine le isole britanniche erano abitate dai Celti.
- L’isola maggiore subisce il dominio dei romani per più di 400 anni (43-420 d.C.); si può quindi parlare di una Britannia celtica romanizzata giacché acquisisce elementi di lingua latina e di religione cristiana.
- ca. 450 d.C.: ritiro delle truppe romane per difendere Roma. La Britannia rimane così indifesa e subisce le migrazioni dalla Germania, in particolare degli Angli, dei Sassoni e degli Juti, in seguito per semplificazione Anglosassoni. I Celti fuggono verso nord (Scozia), verso sud (Galles), in Irlanda e in Bretagna (Francia).
- 597 d.C.: S. Agostino arriva nel Kent, inizio della conversione anglosassone al cristianesimo. Prima dell’arrivo del cristianesimo gli anglosassoni utilizzavano una scrittura di tipo runico, i monaci Irlandesi che già conoscevano lo scritto latino mischiarono caratteri latini con caratteri runici e ottennero l’Insular Script. La società inglese di cui parliamo è una società tribale che vedeva una continua lotta tra le tribù (cyming era il capo tribù, da cui deriva king).
- 871.879: regno di Re Alfredo, dotto e guerriero, difensore della libertà anglosassone dalle invasioni scandinave.
Gli inglesi chiamano i vichinghi Danes, vale a dire danesi, poiché gli stessi facevano scalo in Danimarca prima di salpare per la Britannia. Re Alfredo era soprattutto re del Wessex e impedì l’invasione della sua terra. In più tra una guerra e l’altra fece tradurre in anglosassone una serie d’opere in latino, fondando in pratica una scuola di scrittura. E’ un personaggio fondamentale per la lingua anglosassone. L’inglese antico è in realtà il dialetto sassone del Wessex.
L’Inghilterra intorno all’anno 1000 fa parte di un impero anglo-sassone-scandinnavo.
Intorno all’anno 1066 i Britanni arrivano dalla Francia e introducono il sistema feudale.
Periodo Anglosassone
La letteratura anglosassone è una letteratura non nuova, cupa e triste, pervasa da un enorme pessimismo, dove la conversione al cristianesimo penetra fino ad un certo punto rimanendo un sottofondo pagano elegiaco-malinconico.
Il venerabile Beda afferma che gli anglosassoni concepivano la vita come il volo di un uccello che da una notte oscura entra in una stanza illuminata per poi riuscirne (quindi un breve barlume circondato dall’ignoto, prima e dopo).
L’opera principale di questo periodo è il “Beowulf”, un lungo poema di 300 versi che narrano la storia di Beowulf che affronta tre mostri, una storia lenta che si avvale della tecnica del kenning, cioè parafrasi, giro di parole. Non ha rima ma ha l’allitterazione, cioè le parole hanno una consonanza iniziale (ad ex. “safe & sound”).
Questo poema è scandito da tre incontri:
1° – Il mostro Grendel (da to grind = macinare, digrignare) che viene dagli abissi. Beowulf lo ferisce a morte prima che scappi negli abissi da cui risale la madre di Grendel (2° incontro) che viene di nuovo sconfitta.
Segue una pausa e si arriva a quando Beowulf ha cinquant’anni. Il suo regno è invaso da un drago. Il drago è un mostro che tocca tutti e quattro gli elementi (acqua perché nuota, terra perché è anche un animale terrestre, aria siccome vola e fuoco perché sputa fuoco).
Beowulf lo uccide ma è ucciso lui stesso.
Il poema finisce con il funerale dell’eroe che è messo su una barca e lasciato in balia delle onde.
Concezione dell’eroe
Alla base c’è la concezione d’eroismo nel senso di coraggio fisico. L’eroe deve sempre fornire prova della sua forza.
La condizione femminile
Le donne sono tenute sullo sfondo. Nel Beowulf appaiono come figure anonime che accudiscono i guerrieri. L’unica figura femminile importante è la madre di Grendel, che è sì un mostro ma è anche madre. Il mondo anglosassone vede la donna più che altro nel senso d’istinto materno.
- Contemporaneo del Beowulf è il Tain scritto in Irlanda. Inizia con una meravigliosa chiacchierata sul cuscino tra Re e Regina, a causa di questa è subito scatenata una guerra. In Irlanda abbiamo una società matriarcale. Il Beowulf esprime invece una società patriarcale.
- Le lingue europee sono lingue antrocentriche: bachelor (scapolo), parola non negative; spinster (zitella), deriva da spin (filare) parola negativa. Le femministe hanno cancellato queste parole sostituendole con single.
1381 – rivolta dei contadini, fine della servitù della gleba.
1387 – Edoardo I entra in guerra con la Francia (guerra dei cento anni). E’ una guerra che inizia come tipica guerra feudale (per il possesso della terra) e termina come guerra moderna (per difendere la propria identità nazionale) tra due stati nazione.
Re Edoardo III parlerà ancora francese ma i suoi figli cominceranno a parlare inglese. In particolare uno dei figli, John of Gount, incita Geoffrey Chaucer, importante poeta inglese, a scrivere le sue opere nella lingua madre. L’Inghilterra diventa così una nazione indipendente dalla Francia.
In Inghilterra intanto si forma un movimento religioso che anticipa la riforma protestante: John Wyclif, teologo d’Oxford, predicava la povertà della chiesa. Il movimento di Wyclif, detto dei Lollardi, preti poveri, trova largo consenso. L’Inghilterra vuole una chiesa nazionale.
In seguito a tutto questo la lingua inglese recupera il suo prestigio e diventa lingua nazionale.
I tre grandi trecentisti inglesi
I tre grandi letterati del ‘300 inglese sono:
- Geoffrey Chaucer
- Autore ignoto, “Sir Gawain and the Green Knight”
- William Langland, “Piers Plowman” (Pietro l’aratore).
Geoffrey Chaucer vive a Londra e scrive nel dialetto di Londra.
L’autore di “Sir Gawain…” scrive nel dialetto nord – occidentale.
Langland scrive nel dialetto ad est di Londra.
L’Inghilterra del ‘300 vede l’inglese ritornare ad essere lingua nazionale, caratterizzata però da dialetti diversi, ciascuno con la sua letteratura.
Chaucer è il portavoce della classe borghese.
L’ignoto autore di “Sir Gawain…” è il portavoce della classe aristocratica.
Langland è il portavoce dei contadini e della loro rivolta.
William Langland “Piers Plowman”
“Piers Plowman” (“Pietro l’aratore”) è un poema allegorico che ha come protagonista un contadino, oggi lo definiremmo un romanzo politicamente molto impegnato.
E’ raccontato come se si trattasse di un sogno e all’interno del poema troviamo personaggi reali ed altri allegorici.
Ad esempio s’incontra il personaggio del Re e quello della Chiesa, ed anche quello di Lady Mede [‘leidi][miid], cioè Madama Mercede, un personaggio molto ambiguo, infatti “Mercede” è intesa sia nel senso di pagamento per un lavoro eseguito, sia nel senso di denaro dato per conquistare il potere politico.
E’ un poema al tempo stesso religioso e politico e difende soprattutto i contadini e la Chiesa povera. Il protagonista, Pietro, incontra molti personaggi per identificarsi alla fine con la figura di Cristo.
“Sir Gawain and the Green Knight”
Questo romanzo è ambientato alla corte di Re Artù, a Camelot, dove sono in corso I festeggiamenti per il capodanno. Si sta celebrando un banchetto ed il Re è circondato dai cavalieri della Tavola Rotonda. E’ consuetudine non cominciare a mangiare finché qualcuno non racconti qualcosa di meraviglioso.
Improvvisamente irrompe nella sala del banchetto un cavaliere con l’armatura, la pelle, gli occhi ed ogni altro particolare colorato di verde.
Questo misterioso cavaliere sfida uno qualsiasi dei cavalieri presenti a decapitargli la testa, a condizione che questi si sottoponga alla stessa sorte a distanza di un anno e un giorno.
L’unico cavaliere che ha il coraggio di farsi avanti, è Sir Gawain, che raccoglie la sfida e decapita lo straniero, che se ne va portando con se la propria testa tagliata: la testa parla ed invita Sir Gawain ad avere fede alla parola data, presentandosi in una cappella verde il giorno stabilito.
Quando sta per giungere il giorno prefissato Sir Gawain parte ed arriva ad un castello, dove è accolto da due castellani, un uomo di nome Bertilak, cortese ed amichevole, ed una misteriosa signora, la quale lo invita a fermarsi a riposare.
Il castellano si reca a caccia, ed avvisa il cavaliere che dovrà restituirgli ogni cosa che riceverà.
Durante la sua assenza, la signora tenta di sedurre Gawain presentandosi nella sua stanza, ma egli sa resistere.
La donna gli da un bacio, e Gawain lo restituisce al castellano: la stessa cosa si ripete anche i due giorni successivi.
Prima che Gawain parta, la signora gli consegna una cintura verde, assicurandogli che il cavaliere che indossi tale cintura non sarà mai sconfitto, in questo caso Gawain non restituisce la cintura a Bertilak.
Una volta ricevuta la cintura Sir Gawain si reca nella cappelletta verde, che si rivela essere una caverna. Qui affronta finalmente il cavaliere verde, ma, proprio quando questi sta per decapitargli la testa, nel momento in cui la lama dell’accetta gli sfiora il collo, tutto si trasforma: il cavaliere verde altri non era che Bertilak, la castellana era Morgana Le Fay, sorella di Merlino, e tutto si rivela un incantesimo.
Sir Gawain è quindi libero di fare ritorno a corte, con la consapevolezza di non essere stato del tutto leale e fedele, dato che non ha restituito la cintura.
Infatti Bertilak rivela a Gawain che sapeva già tutto, che era stata sua moglie ha consegnargli la cintura e che sta nel non averla restituita il suo errore, la cintura verde è simbolo dell’infedeltà del cavaliere.
In “Sir Gawain and the Green Knight” possiamo trovare riunite tre diverse tradizioni: quella celtica, quella anglosassone e quella francese o normanna.
L’ignoto autore è il portavoce dell’aristocrazia feudale, nella quale uno dei valori fondamentali è la fedeltà verso il proprio signore e padrone.
Infatti l’avventura vissuta da Gawain è una sorta di prova delle qualità morali di un’intera società, un modo per verificare se tale società è effettivamente in grado di mettere in pratica gli ideali che professa.
Questo romanzo proviene dall’Inghilterra nord – occidentale ed è scritto in un dialetto delle West Midlands, consta di ca. 2500 versi e risale probabilmente all’ultimo quarto del Trecento.
E’ caratterizzato da strutture binarie e terziarie, infatti abbiamo due corti, due capodanni, due scene di decapitazione, tre baci, tre cacce, tre tentazioni.
Anche le dimensioni temporali del romanzo sono tre: la prima è quella mitologica del grande passato alla corte di Re Artù, la seconda è quella ciclica e stagionale del passaggio da un anno all’altro, la terza è quella del tempo comune, cioè del trascorrere regolare dei giorni e delle ore.
Una delle novità più importanti introdotte dall’anonimo autore è la profondità psicologica conferita ai personaggi: essi infatti non sono semplici figure di superficie, ma hanno caratteristiche individuali, sono mossi da impulsi e reazioni particolari.
Infatti, nessun personaggio è “piatto”, ad eccezione di Morgana, che non ha prospettive psicologiche.
Geoffrey Chaucer: la vita
La vita di Geoffrey Chaucer [‘tjo:se] coincide quasi perfettamente con la seconda metà del trecento, infatti, nasce a Londra tra il 1340 e il 1345 e muore il 25 ottobre del 1400.
L’importanza di Chaucer nella storia della letteratura inglese è enorme, infatti introduce al suo interno la figura dell’uomo della strada e l’umorismo.
L’umorismo è “una nave che affonda con un maggiordomo che continua a servire il tè”. Ciò significa che una persona vive una situazione umoristica quando, ad esempio, continua a rispettare determinate regole che in realtà non esistono più. Ciò implica una certa calma, un fermo distacco e soprattutto un grande spirito d’osservazione.
Chaucer è un intellettuale: nasce in una prospera famiglia di mercanti che importano vino dalla Francia e che serve la reale casa inglese. La sua è una famiglia borghese, ma Chaucer è educato a Corte, ricevendo quindi un’istruzione di tipo aristocratico: è uno “spostato”, vale a dire nasce in una classe sociale ma vive in un’altra. Entra quindi ben presto a servizio della corte, per la quale opera sia come paggio sia come valletto, partecipando anche alla Guerra dei Cento Anni.
Nel 1372 – 1373 Chaucer è inviato in Italia e visita Genova, Firenze e Milano al fine di raccogliere prestiti per il Re d’Inghilterra da investire nell’acquisto d’armi per la guerra. Gli italiani a quel tempo erano avanti per ciò che riguardava le tecniche bancarie: avevano inventato la cambiale, in pratica una forma di prestito regolato.
Durante quei suoi viaggi Chaucer ha anche la possibilità di studiare le opere dei tre grandi trecentisti italiani: Dante, Petrarca e Boccaccio, anche se di quest’ultimo non conosceva il “Decameron”.
Una volta rientrato in patria ottiene l’incarico d’ispettore delle dogane nel porto di Londra, ufficio che mantiene per dodici anni.
In seguito si ritira nel Kent; là è nominato sovrintendente alle costruzioni reali nel palazzo di Westminster e alla Torre di Londra, più tardi cura il restauro della Cappella di S. Giorgio a Windsor e diventa anche viceintendente forestale di un parco nel Somerset.
Quando sale al trono Enrico IV, figlio di John of Gaunt, grande sostenitore di Chaucer, questi si ritira in una casa del Westminster, dove muore il 25 ottobre del 1400.
La vita di Chaucer è stata quella di un uomo venuto in contatto con una grande varietà umana e con gran parte delle classi sociali dell’epoca. E’ quindi un profondo conoscitore del suo tempo, ma assume sempre un certo distacco nei confronti della società.
Le opere di Chaucer
La prima opera di cui si hanno notizie è “The Book of the Duches” del 1369, un poema narrativo elegiaco composto in seguito ad una grande epidemia di peste che colpisce anche la duchessa Blanche, nuora del Re e moglie di John of Gaunt, amica di Chaucer e sua estimatrice. In quest’opera Chaucer si finge sognatore a disagio nel mondo del proprio sogno: unisce la comicità verso se stesso con il lutto.
In seguito Chaucer compone altre due opere basate sulla lingua dell’ingenuo sognatore – narratore: “The House of Fame”, rimasto incompiuto, e “The Parliament of Fowls”. Nel primo è descritto il suo volo in groppa ad un’aquila diretta alla House of Fame, che è fatta di ghiaccio che si sta sciogliendo; nel secondo si parla della festa di S. Valentino, durante la quale tutti gli uccello si radunano per cercare il proprio compagno.
In essi Chaucer prende in giro se stesso e mette in atto una critica sottile, ironica e distaccata.
Nella sua quarta opera, “Trailus and Cryseide”, Chaucer non è più sognatore, ma una persona stanca, assai fallibile, che racconta una storia d’amore e di guerra. L’opera è una deviazione del “Filostrato” di Boccaccio, Chaucer scrive una storia molto complessa, comica e tragica al tempo stesso, nella quale i personaggi principali sono tre: Trailo, Criseide e Pandoro.
Trailo è il figlio del Re di Troia, Priamo ed è rappresentato come il giovane innamorato medievale, tipico eroe dell’Amor Cortese, innamorato più dell’idea stessa dell’amore che della donna che incontra. La donna in questione è Criseide, una prigioniera greca vedova. Il terzo personaggio è Pandoro, zio di Criseide, un uomo di mondo che introduce il principe alla prigioniera, cercando di trarre vantaggio dalla propria posizione.
In questo poema è affrontato il problema universale dell’amore, ed emerge di conseguenza il problema di far aderire il sentimento che nasce tra due persone con il mondo esterno.
Chaucer dimostra nel corso del racconto una grande simpatia per il personaggio di Criseide: è come uno storico a disagio nella storia che rievoca.
La storia è questa: Trailo è innamorato di Criseide, ma nessuno deve sapere del loro amore, tutto deve rimanere segreto. E’ in corso una guerra ed avviene uno scambio di prigionieri: Trailo accompagna Criseide al suo nuovo campo, e le consegna in dono una fascia come suo ricordo. Criseide però diventa amica di Diomede e gli da a sua volta la fascia ricevuta da Trailo. Diomede indossa il regalo ricevuto e va in battaglia, dove incontra Trailo il quale, avendo visto la sua fascia indosso a Diomede, si scaglia contro di lui venendo però ucciso.
Contemporanea di “Trailus and Cryseide” è un’altra opera: “The Legend of Good Women”: inizia con la Regina della fate che rimprovera Chaucer, colpevole di aver descritto le donne come traditrici.
Chaucer nel corso della stesura di quest’opera non si sente però pienamente a disagio, avvertendo qualcosa di meccanico nella narrazione, infatti era stata Queen Anna ad esortarlo a scrivere un’opera nella quale le donne fossero rivalutate.
“The Canterbury Tales”
Chaucer nei “Canterbury Tales” descrive il passaggio della società medievale inglese dal feudalesimo all’organizzazione nazionale.
In questo periodo l’Inghilterra si trova a dover affrontare problemi molto gravi come ad esempio la partecipazione alla Guerra dei Cento Anni e soprattutto la gravissima epidemia di peste che nel giro di sei mesi dimezzo l’intera popolazione.
La società che ci presenta Chaucer è comunque ancora divisa nella tre categorie feudali: la cavalleria, il clero e il popolo comune, infatti il cambiamento in atto nel paese, cioè il passaggio al nazionalismo, è destinato a compiersi soltanto molto tempo dopo la morte di Chaucer.
Questa rigida divisione in classi non è presente all’interno dei “Canterbury Tales”, che presenta infatti un unico gruppo di pellegrini in viaggio dai sobborghi di Londra a Canterbury.
Risulta determinante nella stesura del romanzo la grande conoscenza umana di Chaucer, il suo essere venuto a contatto con tutte le classi sociali dell’epoca, infatti descrive le persone come le ha viste, come sono veramente.
I trenta pellegrini descritti da Chaucer sono di diversa estrazione sociale: stanno andando verso la tomba di S. Tommaso Becket, ed il loro viaggio rappresenta un po’ il cammino dell’uomo sulla strada della vita, la cui meta finale è la morte, cioè la tomba.
Durante questo viaggio i pellegrini, così come l’uomo in generale, si distraggono cercando di dimenticare la meta. La struttura letteraria presentata da Chaucer è perfettamente simbolica della sua idea della vita, visto, per l’appunto, come un viaggio durante il quale gli uomini si smarriscono.
Chaucer ci parla della vita di tutti i giorni, mentre Dante è proiettato nell’aldilà, il viaggio di Chaucer finisce dove inizia quello di Dante.
Il linguaggio viene di volta in volta adeguato alle esigenze del personaggio che parla: la descrizione è fedele al modo reale di esprimersi della grande varietà dei personaggi, tanto che Chaucer all’inizio dell’opera si scusa di ciò con i lettori.
Chaucer è un pellegrino tra i pellegrini: la sua funzione è di essere un cronista, di testimoniare tutte le varietà della vita, qualsiasi esse siano.
I pellegrini sono trenta, ed una sera d’aprile si riuniscono in una locanda nei pressi del Tamigi, decidendo di iniziare un viaggio che li porterà a Canterbury presso la tomba di S. Tommaso Becket, durante il cammino per superare la noia, l’oste propone che ognuno racconti due novelle durante l’andata e due durante il ritorno: i pellegrini sono d’accordo e il viaggio ha inizio.
E’ da sottolineare, all’interno del romanzo, una sorta di parallelismo che si viene a creare con il “Decameron” di Boccaccio, i cui personaggi però erano tutti fermi: Chaucer invece li fa viaggiare, i suoi personaggi sono quindi in movimento.
L’andamento dei “Canterbury Tales” è aperto, infatti si passa ogni volta dal mondo interno ricreato dai diversi racconti al mondo esterno vissuto dai pellegrini in viaggio.
Tali racconti risultano molto vari e diversificati tra loro: alcuni sono brevissimi, altri molto più lunghi, alcuni meravigliosamente ideati, altri più pesanti e gravi.
Chaucer è il portavoce della nuova borghesia, porta in scena l’uomo della strada, non è Chaucer ad emettere giudizi morali, ma è la scrittura che esprime se stessa.
Il Quattrocento
Dal punto di vista letterario il Quattrocento è genericamente definito come “The Barren Age”, l’epoca sterile, dal momento che non ci sono grandi opere letterarie; è comunque un’epoca molto importante per ciò che riguarda la storia della lingua, soprattutto perché è introdotta una nuova e importantissima invenzione: la stampa (William Coxton introdusse la prima stamperia a West Minster nel 1476).
Il Quattrocento vede inoltre un declino della classe aristocratica e l’ascesa della classe borghese. L’aristocrazia infatti è impegnata per gran parte del secolo nella Guerra dei Cento Anni, terminata la quale ha inizio un’altra guerra, questa volta intestina: la Guerra delle Due Rose, “The War of the Roses”, la quale sancisce di fatto l’autodistruzione della nobiltà inglese d’origine normanna. Una volta conclusasi anche questa guerra, salirà sul trono d’Inghilterra la dinastia dei Tudor, che comprende Enrico VII, Enrico VIII, Edoardo VI, Bloody Mary (Maria la Sanguinaria) ed Elisabetta I.
Enrico VII diede grande impulso al commercio ed organizza un esercito nazionale: durante il suo regno l’Inghilterra diventa una vera e propria nazione.
Enrico VIII continua l’operato del padre, ma è famoso soprattutto perché con lui sul trono la Chiesa inglese si nazionalizza: nasce la Chiesa Anglicana.
Dal momento che si trovava in grandi difficoltà finanziarie, Enrico VIII vede in una nazionalizzazione della Chiesa una straordinaria opportunità per dare forza e vigore alle classi dello stato. In Inghilterra infatti la riforma protestante non ha grandi fondamenta teologiche: la liturgia rimane pressoché identica, gli unici cambiamenti rilevanti sono il passaggio dal latino all’inglese e la sostituzione della figura del Papa come capo della Chiesa con la figura del Re. Tale riforma non mancherà di creare grandi controversie.
Quando Enrico VIII muore sale al trono Edoardo VI, che però è ancora giovanissimo e di salute malferma; su consiglio delle alte cariche ecclesiastiche dell’epoca da impulso all’ideologia protestante.
A causa delle precarie condizioni di salute, Edoardo VI muore ancora giovane, lasciando il trono alla sorella Maria, una cattolica figlia della prima moglie d’Enrico VIII, la quale cerca in ogni modo di riportare il cattolicesimo in Inghilterra perseguitando i protestanti.
Colei che le succede è Elisabetta I, la quale riesce a comprendere molto bene l’atmosfera politica dell’epoca, decidendo quindi di attuare una politica di compromesso riuscendo a far combinare tra di loro tendenze in realtà opposte. Elisabetta I dimostra di possedere una grande moderazione ed una grande comprensione, riuscendo a dare all’Inghilterra un periodo di grande armonia. Muore nel 1603 senza figli.
Il linguaggio e la condizione femminile
La lingua inglese è androcentrica, infatti, gli uomini hanno connotazioni più positive delle donne. Durante il periodo anglosassone si aveva una società molto patriarcale e benché la documentazione riguardante questo periodo sia molto limitata, si sa che ci si basava principalmente sulle tribù.
Tutta la letteratura di questo popolo, infatti, è basata sull’esaltazione dell’uomo come capo tribù, tenuto a dimostrare la propria forza e virilità.
La donna di conseguenza è poco menzionata, l’unica eccezione è rappresentata dalla madre di Grendel che è descritta come personificazione dell’amore materno.
Si hanno invece maggiori notizie a proposito del periodo feudale: durante questo periodo il concetto d’amor cortese applica alla donna un rapporto feudale inverso, nella realtà l’uomo svolge le operazioni di comando mentre nella finzione ogni sua attenzione è dedicata alla donna. In questo senso il vero capolavoro è “Romanzo della Rosa”, che è un trattato sull’amore e sull’innamoramento in forma allegorica, dove i sentimenti stessi diventano personaggi.
La rosa rappresenta la femminilità: essa vive al centro di un giardino dentro al quale è ammesso, ad esempio, il desiderio ma non la vecchiaia.
L’ambiente è quello del sogno, la donna è qui sottoposta ad un processo d’idealizzazione, si ha in altre parole una donna angelicata.
A proposito del discorso riguardante la condizione femminile, è molto importante “The book of Margery Kempe”, risalente alla seconda metà del Trecento – inizio Quattrocento.
Margery Kempe era la figlia di un sindaco che è data in sposa ad un uomo dal quale ha quattordici figli; in seguito decide di farsi suora e di scrivere le proprie memorie, ma è costretta a dettarle a due chierici (uno dei quali potrebbe essere addirittura suo figlio), dal momento che lei non sa scrivere.
Ciò ci spiega perché l’aristocrazia feudale, che basava la propria economia sulla proprietà feudale, vedeva il matrimonio come un contratto economico, quindi come un modo per rafforzare le proprie proprietà. Di conseguenza le donne che rientravano in questi contratti economici, non erano tenute a studiare giacché avevano già un marito che provvedeva alle loro necessità; al contrario le donne che non erano date in sposa, erano mandate in convento dove avevano la possibilità di studiare e di farsi una cultura.
Geoffrey Chaucer, uno dei tre grandi trecentisti inglesi, presenta due importanti figure di donna nei suoi “Canterbury Tales”: la Priora e la Comare di Bath.
La Priora
La Priora ci è presentata come una donna appartenente al clero, come un’aristocratica che non è rientrata in un contratto matrimoniale.
I suoi natali aristocratici vengono anche sottolineati da Chaucer nel prologo, con l’affermazione che il suo giuramento più grande era stato fatto verso Sant’Eligio, vale a dire il patrono degli orafi; ciò è anche testimoniato dal rosario che la Priora porta al braccio, composto di preziosi coralli e da un lucente medaglione d’oro, che reca la scritta “Amor vincit omnia”: essa faceva riferimento sia all’amore terreno sia a quello divino, quasi a voler sottolineare l’ambiguità del personaggio, incapace di staccarsi da certi aspetti meramente terreni.
Per questo motivo il sentimento religioso della Priora rischia sempre di apparire semplice sentimentalismo.
Chaucer ce la descrive come una donna molto educata, sempre intenta ad apparire affabile e garbata, così da poter essere giudicata degna d’attenzione. Parlava francese, ma non “quello di Parigi”, che le era ignoto, piuttosto quello di un famoso convento vicino a Londra, Stratford at Bow: così dicendo Chaucer vuol farci capire che quello della Priora non era certo un buon francese.
Il racconto della Priora, uno dei più brevi, è tratto dall’agiografia ed è quindi la storia della vita di un santo, Ugo di Lincoln, un bambino d’otto anni che nel 1255 fu trovato morto in un pozzo, e per l’omicidio del quale furono accusati alcuni ebrei.
E’ quindi ripresa la tradizione anti-semitica dell’uccisione di bambini cristiani compiuta dagli ebrei, infatti, uno degli ambiti semantici su cui poggia tutto il discorso della Priora è la terminologia xenofoba del suo racconto: lei ha una visione molto negativa degli ebrei. L’altro ambito semantico decisivo che emerge dal racconto è il mondo dei bambini, infatti, la Priora descrive il protagonista con un linguaggio dolce e materno.
Il racconto è ambientato, secondo le parole di Chaucer, “in una grande città dell’Asia”, che in realtà però dovrebbe corrispondere alla città di Norwich, dove gli ebrei erano protetti dal Re. Qui viveva un bambino, molto devoto alla madre di Gesù, per la quale era solito cantare un inno, “Alma Redemptoris Mater”. Un gruppo d’ebrei, però, stanchi di sentire quell’inno che rappresentava un insulto alle loro leggi, uccide il bambino tagliandogli la gola, ma vengono ben presto scoperti e condannati a morte, mentre il piccolo, benché morto, continua ad intonare l’inno a lui tanto caro.
La comare di Bath
La comare di Bath ci è presentata come un’abile tessitrice, una figura borghese che ha un’interminabile esperienza amorosa e una grand’esperienza di vita.
Ci appare come collegata all’economia mobile del denaro: è una donna al passo con i tempi, esce dall’economia immobile della terra ed entra nell’ambito delle proprietà mobili.
Nel prologo che precede il suo racconto la Comare critica e passa in rassegna tutta la tradizione misogina della Chiesa: le sue parole sono un gran documento femminista ante litteram.
Chaucer si fa da parte e lascia che sia la donna a parlare, seguendo uno schema tipico dei “Canterbury Tales”, in base al quale egli può narrare, commentare e criticare senza essere direttamente responsabile di ciò che sta dicendo.
Ciò significa che il lettore non è poi mai davvero sicuro di chi stia parlando, se Chaucer stesso, o uno dei pellegrini; per questo motivo Chaucer è sia dentro sia fuori la storia: il risultato è un esempio molto indefinito della capacità che il linguaggio ha di persuadere e convincere.
All’inizio del suo prologo la Comare afferma di aver avuto cinque mariti, ed inizia a questo proposito un lungo discorso, che è sia una sfida verso la Chiesa, sia un’autodifesa, infatti, afferma che Dio non ha mai posto alcun limite al numero di mariti che una donna può avere, portando anche come esempio la figura del Re Salomone, il quale ebbe ben settecento mogli.
I suoi primi tre mariti erano ricchi e vecchi e, una volta ottenuti da loro terra e denaro, la Comare perse qualsiasi tipo di interessi nei loro confronti.
Il quarto marito aveva un’amante, cosa per la quale la Comare gli fece passare molte sofferenze, fingendo di avere un amante a sua volta e facendolo quindi ingelosire di continuo.
Il quinto ed ultimo marito è stato l’unico ad essere sposato per amore e non per interesse: aveva appena vent’anni, mentre la Comare ne aveva già quaranta, ed aveva conosciuto la sua futura moglie al funerale del quarto marito.
Questo ragazzo era uno studente e possedeva molti libri riguardanti la negatività delle donne: proprio uno di questi libri farà nascere una violenta discussione tra i due che terminerà con la perdita dell’udito da parte della Comare in seguito ad un violento schiaffo del marito.
Il racconto vero e proprio della Comare si svolge alla corte di Re Artù: qui un baccelliere sta per essere condannato a morte, ma la Regina blocca l’esecuzione, promettendogli la salvezza se, entro un anno ed un giorno da allora, egli sarà in grado di dirle quale sia la cosa che le donne desiderano di più. L’uomo comincia quindi ad andare in giro per il mondo in cerca di qualcuno in grado di dirgli la risposta. Sentendosi però rispondere sempre in modo diverso. Quando il tempo concessogli sta ormai volgendo al termine, il baccelliere incontra un’orribile vecchia, la quale promette di dirgli ciò che una donna maggiormente desidera, in cambio di un desiderio: che lui la prenda in sposa. Il baccelliere, di fronte alla prospettiva della condanna a morte, accetta e davanti alla Regina e a tutta la corte dà la risposta che la vecchia gli aveva suggerito: quello che desiderano di più le donne è poter dominare il proprio marito.
Nessuna delle donne presenti sa dare torto a queste parole, quindi l’uomo ha salva la vita ma è costretto a sposare la brutta e povera vecchia, la quale però la prima notte di nozze si trasforma in una giovane e bellissima ragazza. Il linguaggio della donna è straordinariamente ben documentato ed articolato, infatti, la comare aveva sposato un uomo di cultura ed aveva quindi tratto molto da lui: assistiamo ad un discorso complesso sull’interdizione verbale.
La Scozia tra fine ‘400 e inizio ‘500
La tradizione e la letteratura scozzese sono caratterizzate da tre diverse lingue: il gaelico, lo scots e l’inglese standard.
La prima lingua di cui si hanno notizie è il gaelico: esso era parlato dagli abitanti originari della Scozia, gli scots, i quali si spostarono dall’Irlanda in questa nuova terra chiamandola Scotland.
La Scozia è formata essenzialmente dalle Highlands, cioè gli altipiani, e dai Lowlands, cioè i bassipiani: il gaelico si diffonde soprattutto nelle Highlands.
Nei Lowlands invece si diffonde una forma di inglese proveniente dal nord dell’Inghilterra, che ha una sua capitale nella città di Edimburgo; per tutto il medioevo la Scozia è quindi linguisticamente divisa in base alla sua conformazione geografica.
Questa forma di inglese nordico assume il nome di Scots, che indica la forma abbreviata di Scottis, collegato alla forma meridionale di Scottish.
L’inglese standard è invece l’inglese di Londra: a questo proposito è molto importante ricordare du date: il 1603 ed il 1707.
Nel 1603 muore Elisabetta I ed il re Giacomo VI si sposta dalla sua terra, la Scozia, per diventare il re Giacomo I d’Inghilterra: assistiamo quindi all’unione delle due corone. Più tardi, nel 1707, ci sarà anche l’unione dei due parlamenti.
Come conseguenza di questi due importanti avvenimenti storici, lo scots subisce un progressivo declino a favore dell’inglese standard che diventa la lingua dominante.
Al giorno d’oggi il gaelico è ormai morente, la lingua ufficiale è l’inglese standard, ma le classi operaie parlano ancora lo scots: questo secondo gli inglesi è semplicemente un dialetto periferico, mentre secondo gli scozzesi è la lingua ufficiale.
Il re Giacomo IV è un re rinascimentale, e all’interno dell’ambiente aristocratico della corte dà grande impulso agli studi e alla cultura; in questo periodo la Scozia, temendo un’espansione dell’Inghilterra, mantiene stretti rapporti con la Francia.
A Giacomo IV si deve la fondazione di una nuova Università, quella di Aberdeen, nella quale è aperta una nuova cattedra, quella di medicina: non c’è dunque attenzione solo per le lettere, ma anche per la scienza.
Quest’epoca è dunque densa di interessi culturali, ma tutto ha termine con la data del 1513, anno in cui a luogo la battaglia di Flodden, nella quale perde la vita lo stesso Giacomo IV.
Ci troviamo quindi di fronte ad una Scozia che passa dal periodo feudale a quello moderno, con un conseguente spostamento d’interessi dalla terra al denaro.
Trattato delle donne maritate e della vedova
L’argomento principale di questo trattato è la lotta tra l’uomo e la donna per la conquista del potere all’interno del rapporto coniugale.
E’ quindi affrontato il problema della condizione femminile durante il medioevo: assistiamo ad un rovesciamento del ruolo della donna, che è molto distante da quella della tradizione cortese.
L’unico scopo delle tre donne protagoniste del trattato è di veder realizzati i propri desideri, cioè il raggiungimento dell’appagamento sessuale e la conquista di un ruolo di predominio nei confronti del compagno.
Alla donna angelicata della tradizione cortese, che subiva un processo di idealizzazione, si contrappongono le tre donne descritte da Dunbar, che hanno uno spiccato gusto per il volgare e per l’osceno.
Esse sono due donne sposate ed una che invece è rimasta vedova: i loro tre racconti possono essere rispettivamente definiti tesi, antitesi e sintesi.
Tutte e tre appartengono all’aristocrazia di Edimburgo, alla cosiddetta “alta società”, ma questo solo in apparenza: dall’altro lato infatti sono descritte come tra creature diaboliche.
E’ per questo motivo che le tre donne sono vestite di verde, un colore che nella tradizione celtica era collegato al regno dei morti e era addirittura considerato come il colore del demonio: tale colore sta ad indicare una duplice valenza dei personaggi, realistica e simbolica.
Il linguaggio usato da Dunbar in questo trattato è lo scots: il proemio iniziale e l’epilogo finale presentano un linguaggio elevato, mentre le tre donne parlano e si esprimono senza alcun ritegno, in modo volgare e facendo uso di un tono estremamente basso.
Il prologo avviene nella lotte tra il 23 e il 24 giugno, cioè la notte di S. Giovanni Battista, quella che Shakespeare definirà “notte di mezza estate”.
Ci troviamo in un rigoglioso giardino, presso il quale il poeta si trova a passeggiare. Qui, non visto, scorge tre donne che iniziano a confessarsi reciprocamente i propri problemi matrimoniali ed i propri desideri più segreti, sicure di non essere viste da nessuno.
I loro discorsi terminano inesorabilmente in una condanna del matrimonio, che è visto quasi come una sorta di impedimento alle loro ambizioni, in uno sfogo contro le proprie sfortune.
La prima delle due giovani spose è una donna tipicamente feudale, che è stata oggetto di un contratto matrimoniale ed è stata data in sposa ad un uomo più vecchio di lei.
Inizialmente il tono della narrazione è divagato e scherzoso: la donna fa una proposta, e cioè l’istituzione di un matrimonio che duri non più di un anno, in modo da avere la possibilità di avere compagni sempre nuovi.
Per questo motivo elle invidia gli uccelli, i quali sono liberi di scegliersi un nuovo compagno ogni anno.
Più avanti, però, considerando il suo matrimonio, il tono cambia diventando aggressivo: descrive il marito con termini zoologici, come ad esempio “verme”, “scorpione”, “porcospino” o “vecchio bruco”…
Parlando invece del suo amante ideale, si serve di metafore agricole, confermando implicitamente di essere ancora legata all’idea di proprietà della terra: egli deve essere, ad esempio, “forte al tiro”. La femminilità ed il desiderio della donna sono talmente innappagati che elle vede addirittura nel vecchio marito un “lugubre spettro”.
Il monologo della seconda donna consiste in una delusione ancora più cocente, dal momento che il suo uomo era giovane e forte, ed era perciò lecito attendersi da lui ben altro. Alla prima donna non erano state concesse quantomeno false aspettative, poiché, sposando un vecchio, già sapeva ciò che la aspettava, ma la seconda sposa si trovava ad essere maritata con un “puttaniere”, ormai stremato dalle troppe fatiche.
Il tono delle sue parole non è però aggressivo come quello della prima donna: il discorso, infatti, è principalmente dominato da una grande amarezza, e la sua unica gioia è legata all’uso della fantasia, per mezzo della quale immagina un uomo che possa finalmente soddisfarla.
La terza ed ultima donna è quella più vicina alla comare di Bath di Chaucer: è una donna moderna, disincantata ed esperta, che invita le due compagne ad essere meno sprovvedute e più realistiche. Il suo consiglio è di usare sempre l’ipocrisia come regola di vita, facendo credere al proprio marito di essergli fedele e felice: lei non ha più una mentalità feudale, ma moderna, consapevole del passaggio che sta avvenendo nella società, che da feudale si sta trasformando in società moderna.