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Storia della lingua tedesca

Cenni sullo sviluppo del romanzo tedesco dalle origini al XVIII secolo

Modulo storico letterario: Cenni sullo sviluppo del romanzo tedesco dalle origini al XVIII secolo.

Nel Medioevo non c’erano romanzi in prosa, ma lunghi racconti in versi che trattavano materie mitiche o nazionali: così il poeta francese Jean Bodel (seconda metà del XII sec.) distingueva esemplarmente “trois matères”: “de France, de Bretagne et de Rome la grant”, cioè un’epica nazionale (per es. la Chanson de Roland), un romanzo cavalleresco fantastico o arturiano (per es. i romanzi di Chrestien) e un romanzo classico o storico (per es. il Roman de Troie di Benoit de Sainte-Maure). A queste categorie corrispon devano in territorio tedesco il Nibelungenlied e i racconti attorno a Teodorico, i romanzi artu riani di Hartmann e il Parzival di Wolfram, laEneit di Heinrich von Veldeke ecc.

Il romanzo medievale in versi s’indirizzava per forma e contenuto a un’é lite, ai nobili e ai ricchi e potenti che sapevano leggere o potevano permet tersi un reci­tatore; questi romanzi confermavano la loro coscienza di ceto o ideologia, trat tavano dei loro problemi (per es. quello del duello con il pa rente, degli ob blighi contrastanti tra vassallità e parentela). La lettura ad alta voce era la forma di fruizione più adatta a questi romanzi: gli ascoltatori si sentivano parte di una comunità, erano scarse o addirittura impossibili le fruizioni individuali del testo.

Esistevano anche specie intermedie di romanzo (sempre in versi) che si indirizzavano a ceti diversi o rispondevano a bisogni diversi: i cosiddetti romanzi degli “Spielleute”, le zoepie in versi, i cicli di favolelli attorno a una figura leg gendaria.

Due elementi sono costitutivi per il romanzo postmedievale o moderno: il pas saggio graduale dal verso alla prosa (si ha già un Lancillotto in prosa alla fine del XIII sec.) e l’invenzione della stampa a caratteri mobili (fine del XV sec.): questi due fenomeni assolsero le premesse perché la letteratura (e il romanzo) avessero un più ampio campo d’azione. Con l’ascesa della borghesia urbana e del patriziato una nuova classe produsse e consumò letteratura, mentre la nobiltà abbandonava il castello per stabilirsi in città. In quest’ambiente si collo cano forme miste, di romanzo ancora cavalleresco per materia e ideologia, ma moderno per forma prosastica: le opere di Elisabetta di Nassau-Saarbrücken (Hug Schapler, 1440) e quelle di Elisabetta di Vorderösterreich (Pontus und Sidonia, 1456). O addirittura opere che esprimono un’ideologia nuova, non nobiliare, ma borghese: Der gute Gerhard di Rudolf von Ems (1215 circa).

La prima culminazione del romanzo borghese si ha con l’alsaziano Jörg Wickram: i suoi primi romanzi si possono definire ‘cavallereschi’, quindi, dal punto di vista borghese, ‘esotici’, almeno per am bientazione e materia. Ritter Galmy (1539) narra del perseverante e casto amore di un povero cavaliere scozzese per una dama al­tolocata, storia che, dopo molteplici peripezie, si conclude con un lieto fine; ma più ancora di questa vicenda, in sé poco innovativa, l’ele mento cui Wickram delega il compito di ammaestrare e compiacere il pubblico è quello dell’amicizia tra Galmy e Friedrich, un rapporto umano che sostituisce il vincolo di fedeltà feudale che lega i perso naggi nel romanzo cavalleresco tradizionale.

Nel successivo romanzo, Reinhard und Gabriotto (1551), l’amicizia tra i due protagonisti, anche loro appartenenti alla bassa nobiltà, anche loro innamorati di dame altolocate, assume ancora maggior ri lievo: Wickram rinuncia però a ogni idealismo, la storia si conclude tragicamente con la morte delle due coppie le quali non riescono a realizzare il sogno individuale (borghese) di un matrimonio al di là delle differenze di ceto (ovvero di elevazione sociale della borghesia).

Con Der Jungen Knaben Spiegel (1554), Wickram compie il passo decisivo, abbandonando il mondo fantastico e idealizzato dei romanzi cavallereschi per ambientare per la prima volta una storia romanzesca nell’attualità del suo tempo. Anche qui i personaggi principali sono due, Friedbert di famiglia contadina e Willibald di nobili notali, che, allevati insieme, percorrono opposte parabole, dimostrando l’assunto che non la nobiltà del sangue, ma la capacità e l’effettivo rendimento garantiscono il successo nella vita: il giovane Friedbert studia e sa resistere a ogni lusinga del mondo, ascendendo alla carica di cancelliere del principe, mentre lo scapestrato Willibald si comporta come un figliol prodigo e viene al l’ultimo momento ricondotto da Friedbert sulla retta via. Esiti tanto differenti non vengono però ricondotti dall’autore alla diversa indole e neanche alla diffe rente estrazione sociale dei due giovani, bensì unicamente al diverso insegnamento loro impartito.

Il motivo del bravo giovane di umili natali che sa elevarsi socialmente è ripreso e variato in Der Goldfaden (1557), di nuovo ambientato nel fantastico mondo feudale: il pastorello Leufried si innamora perdutamente della figlia del conte e serba cucito nel petto un filo d’oro che questa gli ha donato per celia, conquistando la dami gella con la sua abnegazione. I due giovani coronano il loro sogno d’amore dopo avventurose peripezie, nel corso delle quali vengono separati, Leufried viene nominato cavaliere, ha modo di provare il suo valore e diventa infine conte. Se nel romanzo precedente era stata la laboriosità di Friedbert ad assicurare l’ascesa sociale, qui è l’amore disinte ressato e costante di Leufried a essere premiato. Una concezione dell’amore, basato su sentimento e capace di trascendere barriere sociali e impedimenti materiali, che è ‘borghese’ perché si contrappone polemicamente al matrimonio d’interesse praticato dall’aristocrazia. Anche la cultura cortese aveva ri valutato, con il Minnesang e certi romanzi cavallereschi (cfr. l’Iwein di Hartmann) il rapporto erotico individuale, ma non aveva voluto (o potuto) trasporre i risultati di quest’operazione sul piano del matri monio, sia per le risultanze economico-sociali che aveva quest’istituzione, sia perché la dottrina ecclesiale condannava ogni intervento dell’eros in essa.

Già con il Goldfaden Wickram ha raggiunto un buon livello di perizia formale; il successivo e ultimo romanzo, Von Guten und Bösen Nachbarn (1556) costituisce un mo mento di culminazione tanto dal punto di vista stilistico quanto da quello ideologico. Se Der Jungen Knaben Spiegel può essere classifi cato come il primo romanzo pedagogico, Von Guten und Bösen Nachbarn è il primo romanzo fami liare borghese perché ci mostra tre generazioni di laboriosi, leali e onesti gioiellieri. Anche qui l’amici zia costante e sincera tra i due capifamiglia è condizione necessaria e sufficiente a uno sviluppo positivo degli eventi, talché l’amore tra due giovani belli, buoni e di pari ceto non soltanto non viene ostacolato, ma porta addirittura a una fusione commerciale. Molti sono i passi di contenuto prevalentemente didattico, come quando il vecchio Lasarus impartisce al figlio regole di condotta che questi metterà puntualmente in pratica, fungendo da esempio positivo di pietà filiale e di adeguato comportamento in terra straniera.

Le definizioni di “romanzo di sviluppo” o “pedagogico” applicate al Knaben Spiegel non devono trarre in inganno: i personaggi di Wickram, anche se calati in ottica ‘romanzesca’, non sono indagati psicologicamente né si evolvono: re stano ‘tipi’ e non ‘caratteri’, com’è naturale in un’epoca ancora in formata a una concezione tipologica, statica e chiusa della realtà. La dimensione romanzesca è invece assicurata dall’ampiezza dello sfondo, dalla durata delle vicende narrate, talvolta (come in Von Guten und Bösen Nachbarn) dall’affollarsi di personaggi.

In conclusione, Wickram avrebbe posto in Germania le premesse del grande romanzo borghese, premesse che tuttavia sono destinate a restare in gran parte infruttuose, perché alla visione del mondo della borghesia urbana cinquecentesca, aperta e dinamica, si sostituisce, nel Seicento, una nuova concezione elitaria, chiusa e statica, in grado di imprimere al romanzo e all’intera letteratura ufficiale una diversa evoluzione: a Wickram potranno rifarsi solo scrittori ‘satirici’ come Moscherosch e Grimmelshausen. Quando, nella seconda metà del XVIII secolo, la borghesia torna ad appropriarsi del genere romanze sco, ben diversi sono ormai modelli e esigenze, sicché Wickram resta, immeritatamente, tagliato fuori e può essere re cuperato solo dall’ar cheologia romantica.

Con la Riforma e la Guerra dei contadini l’ascesa della borghesia s’interrompe, già la mostruosa Geschichtsklitterung (1575) di J. Fischart prelude al romanzo ‘barocco’: “specchio deformante di un mondo deforme e incomprensibile” (Sichel).

Questo “brogliaccio di storia” nasce come traduzione del Gargantua et Pantagruel (1534) di Rabelais, ma finisce per fagocitare il primo libro del romanzo francese restituendo un testo tre volte più ampio e adattato non solo al pubblico tedesco, ma anche all’ideologia calvinista, tendenzialmente antiumanistica; vengono così omessi tutti gli elementi propriamente rinascimentali dell’originale e in compenso viene inserito un capitolo del tutto nuovo sul matrimonio, culminante in una lode della vita familiare borghese che sarebbe impensabile in Rabelais. Soprattutto la polemica contro la mentalità e l’educazione scolastica, che era uno dei fili conduttori del testo fran cese, risulta penalizzata nella rielaborazione di Fischart che intende piuttosto fu sti gare i vizi del suo tempo e della sua sfera so ciale, facendo del protagonista, da nobile sciope rato, un vero e proprio grobiano. L’autore si propone di insegnare e contrario e in primo luogo demolisce l’ideologema umanistico-rinascimentale della centralità dell’uomo: Gargantua non è un uomo, ma un gigante, anzi, come scrive giustamente Sommerhalder, non è neanche più un dotto che tenta di impadronirsi della realtà, bensì un pancione che cerca di ingoiarla. Crapula, ebbrietà, scatologia e sessualità risultano ingigantite all’ennesima potenza: se questi ele menti possono in Rabelais significare ancora il recupero del basso materiale corporeo nell’ambito della cultura elevata, in Fischart le immagini grottesche hanno ormai assunto un chiaro valore negativo (M. Bachtin).

2. Letteratura e romanzo nel XVII secolo

Il XVII secolo segnò in Germania lo sviluppo ritardato e non unitario dallo Stato medievale degli Ordini allo Stato moderno centralizzato. L’intellighenzia borghese si trovò priva di una classe che la sostenesse e si appoggiò ideologicamente allo Stato assoluto.

Come il pensiero politico, così anche i modelli letterari venivano dall’estero, tradotti e poi imitati: le traduzioni delle Etiopiche di Eliodoro (1559), dell’Argenis di J. Barclay (1626) e dell’Arcadia di Ph. Sidney (1629) divennero in Germania i modelli per i tre principali tipi di romanzo: quello avventuroso o picaresco, quello eroico-galante,  quello pastorale.

La concezione di ‘letteratura’ nel XVII sec non si discosta molto da quella medievale e umanistica: i testi letterari sono prodotti che soltanto delle éli tes possono comprendere e gustare appieno. Dopo la massiccia ‘volgarizzazione’ avvenuta durante la Riforma, durante la quale poteva an che capitare che un autore si sentisse fiero della sua ‘borghesità’ (es. Fischart, Wickram, Sachs), l’aristocratizzazione della cultura e della lettera tura (che si appoggia alle corti feudali assolute) restituisce alla circolazione letteraria la sue esclusività: un gruppo di privilegiati (i dotti) che comunica con se stesso o al massimo con un altro gruppo di privilegiati (la nobiltà di corte), al quale aspira a equipararsi. I letterati sono sostenuti da una forte autocoscienza elitaria, si sentono mediatori tra Dio e gli uomini (si pensi alla definizione che August Buchner dà del poeta: “alter Deus”; visione che ha ori gine nel Medioevo e che perdura fino a tutto il Settecento, se non ad dirittura fino al Romanticismo: il frammento bavarese intitolato De poeta, 8. sec. tratta infatti della creazione, quindi poeta = Dio).

Tornano così in auge il disprezzo per l’illetterato, per chi sa cogliere solo  un senso dell’opera letteraria, la cura formale e la ricercatezza compositiva.

Il testo narrativo del XVII secolo agisce molto spesso a più livelli: uno letterale e alcuni metaletterali (morale, astrologico, numerico, allegorico). Questo tipo di scrittura polisemica viene codificato nel Medioevo (interpretazione filosofico-teologica della poesia pagana, allegorismo me dievale, pensiero tipologico applicato al Vecchio Testamento). S. Ambrogio: “umbra in lege, imago in evangelio, veritas in caelestibus”. Origene: come l’uomo si compone di corpo, anima e spirito, così ogni avvenimento è dotato di senso letterale, senso morale (o tropologico), mentre il senso perfetto è accessibile solo allo spirito santo. S. Agostino, Gregorio, Cassiano e altri sviluppano il senso quadruplice: storico, morale, allegorico (=tipico), anagogico (i novissimi). Un Domenicano del XII sec (Nicolas de Lyra o Agostino di Dacia) riassume così questa teoria:

“littera gesta docet, quid credas allegoria,

moralis quid agas, quid speres anagogia”.

S. Agostino distingueva nettamente tra linguaggio umano, che ha significati arbitrari, e linguaggio divino, che ha significato oggettivo. La creazione stessa è caratterizzata da polisemia, resta ambigua all’interpretazione umana (secondo Ugo da S. Vittore il mondo è “liber scriptus digito Dei”). Il “pensiero analogico” non pretende di penetrarne il significato reale, ma di trarre dai fe nomeni spunti di riflessione sulla realtà ultrasensibile. Ne nascono accostamenti dichiaratamente arbitrari, come quelli del Phisiologus (II-III sec. d.C.), dove il Leone rappresenta ora Gesù ora il Demonio.

Alla “allegoria in verbis” si accompagna l'”allegoria in factis” che inter preta tutta la storia umana in ottica tipologica. Così Re Artù e i paladini corrispondono a Gesù e ai discepoli.

Anche la letteratura profana si serve di riferimenti tipologici e polisemici per asseverare la propria ‘veridicità’: così nel Minnesang il ‘Frauendienst’ può essere inteso come servizio mariano e anche come ‘Herrendienst’ in senso feudale. Tutto coincide e concorda con tutto, in una visione totali zante e fondamentalmente statica del mondo.

Quindi quando si legge un testo del XVII sec bisogna interrogarsi se il senso letterale non si accompagni a un senso superiore.

3. Il romanzo tedesco del ‘600:  modelli

Basi autoctone: soluzioni prosastiche di romanzi cortesi, ‘Volksbücher’, Fischart, Wickram

Influssi esterni: Amadigi (trad. ted. 1569-95 in 24 vol.; si basa sulla versione francese del 1540; diversi trad. sconosciuti, il 6. libro da Fischart) medioevo feudale, magia ed erotismo

Eliodoro, Aithiopika (III sec., prima stampa greca 1534, ritenuto da Scaligero esemplare; vers. ted. 1559 di Johann Zschorn) trama ricercata (inizio medias in res = tecnica dell’inversione, alternanze tra azione princi pale e azione accessoria, recupero narrativco delle premesse), castità degli eroi, prove

Philipp Sidney, Arcadia (1590 e 1593) mescola romanzo cavallere sco e romanzo pastorale con romanzo ellenistico; diverse trad. e rielaborazioni ted. a partire dal 1629

John Barclay, Argenis (Parigi, 1621 e 1625; trad. ted. 1626 di M. Opitz) mescola romanzo cavalleresco e allegoria politica, contamina azione amorosa e statale;

Jorge de Montemajor, Diana (1559-1564) trad. ted. di Hans Ludwig von Kuffstein 1619, rielaborata poi da Harsdörffer 1646

Nicolas de Montreux, Les bergeries de Juliette (1585-1598), trad. ted. di F.C.V.B. (= Von Borstel ?) 1615

Honoré d’ Urfé, Astrée (1607-27) trad. ted. 1619-35 di J.B.B.V.B. (= Von Borstel ?) romanzo pastorale aristocratico che influenza il romanzo eroico galante

Lazarillo de Tormes (1554), trad. ted. 1617 si basa su un’ edizione castigata (una trad. del 1614 rimane mn)

Mateo Alemàn, Guzmàn de Alfarache (1599-1605); trad. ted. di Aegidius Albertinus 1615 (trad. la prima parte, inventa la se conda, moraleggiante)

Miguel de Cervantes, Don Quijote (1605-1615); due trad. ted. 1648 e 1683

Francisco Lopez de Ubeda (pseud. del Domenicano Andreas Perez), Picara Justina (1605); trad. ted. 1620 di una trad. ital del 1615.

Francisco Gomez de Quevedo Villegas, Historia de la vida del Buscon (1626); trad. ted. attraverso la rielaboraz franc del Sieur de la Geneste, 1671

Charles Sorel, Histoire comique de Francion (1623); due trad. 1662 e 1668

ALTRE TRADUZIONI DAL FRANCESE

Jean Desmarets de Saint-Sorlin, Ariane (1632) = Georg Andreas Richter 1644

Vital d’ Audiguier, Histoire trage-comique de notre temps sous les noms de Lysandre et de Caliste (1616) = Ph. von Zesen 1644

Georges (?)  de Scudéry, Ibrahim ou l’ illustre Bassa (1641) = Ph. von Zesen 1645

François du Soucy, sieur de Gerzan, L’ Histoire afriquaine de Cléomède et de Sophonisbe (1627-28) = Ph. von Zesen 1647

Madeleine de Scudéry, Clélie, histoire romaine (1654-60) = J. W. von Stubenberg, 1664

TRADUZIONI DALL’ITALIANO

Giov. Francesco Loredano, La Dianea (1635) = Diederich von dem Werder 1644

Giov. Francesco Biondi, La Eromena (1624-32) = J.W. von Stubenberg 1650-52

Giov. Ambrogio Marini, Le gare de’ disperati (1644) = J.W. von Stubenberg 1651

Luca Assarino, Il Demetrio (1643) = J.W. von Stubenberg 1653

Giov. Ambrogio Marino, Il Calloandro (1640-41) = J.W. von Stubenberg 1656

Ferrante Pallavicino, Il Sansone (1657) = J.W. von Stubenberg 1657

Luca Assarino, La Stratonica (1653) = Johanna Laurentia von Adlersheim 1666

4. La teoria

Il XVII fu un secolo di intensa riflessione sul romanzo: promotori e detrattori concordarono nel riconoscere a questo genere letterario la capacità di creare un mondo finzionale in concorrenza a quello reale, sicché il romanziere parve mettersi in concorrenza con Dio. Come il mondo reale, anche quello romanzesco è pervaso da strutture significanti non immediatamente individuabili (Leibnitz: “verborgene Theodizee”)

Giustificazione del romanzo; rapporto tra finzione e realtà (storica)

a) Prefazione al I libro trad. ted. Amadigi (1569): la finzione si addice meglio della “storia” al fine esemplare della poesia, basta che sia verosimile.

N.B. Il concetto della “vraisemblance”, accompagnato da quello della “bienséance” (decoro) viene introdotto da Georges de Scudéry[2] nella prefazione al rom.Ibrahim ou l’illustre Bassa (1641). Questi concetti verranno ripresi da Mlle (Madeleine) de Scudéry nel X libro di Clélie, Histoire romaine (1654-60). Nel 1645 Zesen traduce l’Ibrahim in ted. ma sostituisce la prefazione di G. de Scudéry con una Schutz=Rede in cui si occupa piuttosto di problemi di traduzione.

b) Argenis, trad. Opitz (1629): Dedica (nell’originale a Luigi XIII, nella trad. ai Duchi di Slesia): il romanzo è utile al potere politico, contiene tutto ciò che un monarca deve sapere; superiorità della finzione sulla coerenza storica

c) Harsdörffer, dialogo Das Verlangen (1641, in Frauenzimmer-Gesprächsspiele, 1641-49), prima discussione autoctona sul romanzo (d’amore) che viene accusato di essere menzognero e causare perdita di tempo. La difesa obietta che la poesia aiuta a raggiungere la verità che di per sé è inafferrabile (la parola designa la realtà).

Ancora, nella prefazione alla trad. della Eromena (1650): la libertà permessa dalla finzione è più fruttuosa per lo scopo morale della poesia

d) Andreas Heinrich Buchholtz (prefazione a Herkules und Valiska, 1659): contrappone alla finzione fiabesca ed erotica quella di dattica e morale, il romanzo come veicolo di insegnamento. Il romanzo storico puntellato dal verosimile

e) Sigmund von Birken, prefazione a Aramena (1669) di A.U. von Braunschweig: tre tipi di “Geschichtsschriften”: cronaca, epos e romanzo (“Geschichtsgedicht”); superiorità dell’ invenzione vero simile. Il romanzo come scuola di corte e di nobiltà. Cassa di risonanza dell’operato dei potenti.

f) Philipp von Zesen, prefazione a Assenat (1670): nemico dell’invenzione, il suo romanzo è accompagnato da un apparato documentario che occupa un terzo del volume. (L’unica differenza tra storici e poeti sta nel fatto che i primi scrivono in prosa, i secondi in versi.). Il paral lelismo tra autore romanzesco e Dio sarà positivamente ribadito da Leibniz in una lettera a A.U. von Braunschweig (26/4/1713) cfr BAVAJ, p. 80.

g) Pierre Daniel Huet, Traité de l’origine des romans (1670; trad. ted. come Excursus nell’Insulanischer Mandorell, 1682 di Eberhard Guerner Happel; trad. lat. di W. Pyrrho): si basa su prefazioni come quella dell’ Ibrahim (1641) e della Clélie (1654) di M. de Scudéry che codificano il roman heroique francese: vraisem blence ebienséances; inizio medias in res, collegamento organico tra azione principale e azione accessoria, struttura cronologica razionale, coerenza con il quadro culturale storico, caratterizza zioni approfondite, tendenza morale. Huet evidenzia come caratteristiche del romanzo la prosasticità e il predominio dell’ azione amorosa su quella statale.

Le poetiche tedesche barocche conside rano il romanzo come genere a sé solo dopo la recezione di Huet: Opitz (1624) quasi non ne parla e G.D. Morhof (1682) lo tratta in sieme all’ epos, mentre ne discutono A. Chr. Rotth (1688) e M.D. Omeis (1704) e compaiono i primi trattati tedeschi dedicati appo sitamente al romanzo.

h) Gotthard Heidegger, Mythoscopia Romantica Oder Discurs von den so benannten Romans (1698): rinfaccia ai romanzieri la finziona lità (menzogne), l’immoralità (storie d’ amore), l’inutilità (perdita di tempo) delle loro opere e la presunzione di porsi in concorrenza con Dio.

5. Le condizioni materiali

La produzione romanzesca del XVII sec non era imponente e restava infe riore a quella didattica, teologica e informativa: Arnold Hirsch stima che fossero comparsi:

1615-1669: 87 romanzi (29 originali ted. e 58 trad)

1670-1724: 466 romanzi (315 originali e 151 trad)

A ciò si aggiunga che fino alla fine del secolo vengono stampati più libri lat. che ted.

Harsdörffer e von Birken si lamentano degli editori; questi non esitano a fare amplificare o plagiare testi di successo per po terne trarre profitto. Anche i titoli dei romanzi sono legati a mode e considerazioni economiche.

Poco si sa del pubblico del romanzo: non soltanto quello del ro manzo ‘alto’ era elitario, ma pure quello del romanzo ‘medio’ e ‘basso’, in quanto saper leggere e impiegare tempo e denaro nell’acquisto e lettura di romanzi significava di per sé fare parte di una élite ristretta. A parte questo è chiaro che il romanzo eroico galante soddisfava esigenze diverse da quelle del ro manzo picare sco, ma attribuire queste diverse esigenze a ceti diversi è sche matico.

6. I generi

a) romanzo eroico galante (o storico cortese)

ANDREAS HEINRICH BUCHHOLTZ, Herkules und Valiska (1659-60) e Herkuliskus und Herkuladisla (1665)

ANTON ULRICH VON BRAUNSCHWEIG-WOLFENBÜTTEL, Aramena (1669-1673) e Octavia (1677 ss.)

HEINRICH ANSELM VON ZIGLER UND KLIPHAUSEN, Asiatische Banise (1689)

DANIEL CASPER VON LOHENSTEIN, Arminius (1689-90)

A questi romanzi ‘tipici’ e i cui autori sono per lo più altolo cati, si po trebbero aggiungere

PHILIPP VON ZESEN, Assenat (1670) e Simson (1679)

GRIMMELSHAUSEN, Keuscher Joseph (1666), Dietwalt und Amelinde (1670), Proximus und Lympida (1672)

Caratteristiche del romanzo eroico galante: ambientazione classica o biblica; struttura tettonica e ricercata, coppia di protagonisti elevati, coincidenza di obiettivo amoroso con obiettivo politico, pretesa totalizzante e teologica, anonimità del narratore. La tensione narrativa è mantenuta grazie alla tecnica dell’inversione e della divisione in capitoli con alternanza di azioni principali e accessorie.

Nei romanzi di Eberhard Guerner Happel, Ernst Jacob von Autorff, Joachim Meier e Georg Chr. Lehms lo schema del romanzo eroico ga lante persiste, ma cadono le premesse etiche e teologiche, si di latano gli excursus storici, geografici ed esotici.

b) romanzo galante

Deriva dal romanzo eroico galante e ne sviluppa l’elemento erotico.

AUGUST BOHSE (pseud. Talander) scrive 12 romanzi che sono stampati tra 1685 e 1709, sostituisce alla teodicea la curiosità per il mondo inteso come labirinto.

CHR. FRIEDRICH HUNOLD (pseud. Menantes): 4 romanzi 1700-1706; piena secolarizzazione del romanzo galante, indifferenza morale e conformismo sociale.

c) romanzo pastorale

In Germania il romanzo pastorale è piuttosto “Individualdichtung” che “Gesellschaftsdichtung” (Heinrich Meyer), predomina cioè non il modello di d’ Urfé e Montemajor, ma uno che mostra l’ amore come esperienza individuale, perfino rovinosa, benché pur sempre regolamentabile con la ragione. Questo tipo di romanzo si addice alla nobiltà di campagna (A. Hirsch), si distingue dal romanzo eroico e da quello galante per la non convenzionalità dei motivi e delle strutture: destini, personaggi e visione del mondo non sono cortesi. La realtà non è esperita esemplarmente, ma individual mente.

(??), Amoena und Amandus (1632)

CHR. BREHME, Coelinde und Corimbo (1636)

(??), Die verwüstete und verödete Schäfferey (1647)

JACOB SCHWIEGER, Verlachte Venus (1659)

JOHANN THOMAS, Damon und Lisille (1663)

Non sono del tutto ascrivibili a questa categoria

PH. VON ZESEN, Adriatische Rosemund (1645)

HEINRICH ARNOLD – MARIA CATHARINA STOCKFLETH, Die Kunst- und Tugend-gezierte Macarie (1669, 1673)

il primo problematizza lo scontro tra esigenze individuali e le gami con fessionali; il secondo la contrapposizione tra mondo pa storale, inteso come rifugio delle virtù individuali (borghesi?) e mondo di corte.

d) romanzo picaresco

è di provenienza spagnola: in Germania si mescola con la ‘Schwankliteratur’ e la letteratura satirico-didattica. Struttura additiva e lineare (secondo Petriconi non c’è addirittura alcuna ‘fine’), narrazione spesso in prima persona (gioco di prospettiva tra io narrante e protagoni sta), concentrazione su un protagonista del quale si illustra lo sviluppo, ambientazione contemporanea, bassa estrazione sociale dell’ eroe che si muove attraverso espe rienze ed ambienti sociali differenti (spesso come servitore); ma Alewyn osserva che la scelta di questi ambienti sociali è arbi tra ria.

Se nel romanzo eroico galante domina la Provvidenza, in quello pi caresco regna la Fortuna, l’ incostanza: i protagonisti del primo si mantengono ‘costanti’ e vengono premiati; quelli del secondo non possono essere costanti e non vengono premiati.

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