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Storia dell'America Latina

Storia dell’America Latina

Storia dell’America Latina

Docente: Vangelista

Martedì 26 febbraio 2002

Parallelismi tra gli imperi Incas e Azteco

Entrambi gli imperi hanno origine tra il XI ed il XII secolo, quando dei gruppi tribali guerrieri si confederano, diventando caste influenti sulla vita politico – economica. Si formano federazioni sotto un capo guerriero che ha anche prerogative religiose. Questi gruppi migrano e si concentrano in un unico punto dove fondano (o rifondano) una città.

Nel caso degli Incas si tratta di CUZCO, per gli Aztechi si tratta di TENOCHTITLAN. Gli Aztechi sono gruppi di lingua NAHUATL, gli Incas di lingua QUECHA. Entrambi trovano, nel luogo in cui si concentrano, altre civiltà. La conquista del territorio avviene con l’assimilazione dei gruppi preesistenti, assorbendone la cultura. I NAHUATL assorbono la cultura dei TOLTECHI. Gli Incas assorbono la civiltà TIWANAKU, che scompare con l’arrivo degli Incas, al contrario della cultura AYMARA, che arrivano nei territori incas ma si mantengono fino ai nostri giorni.

Tra il XIV ed il XV secolo questi gruppi cominciano un’azione espansiva. Si tratta di un aspetto caratteristico di queste culture, perché attuano una guerra finalizzata esclusivamente all’espansione territoriale, con la creazione di società gerarchizzate, che crescono e si articolano in maniera diversa.

Gli Aztechi formano un’unione dinastica con i TOLTECHI. Si crea anche una triplice alleanza fra tre grandi città, nel 1528. I legami all’interno di quest’alleanza sono di parentela. La capitale è TENOCHTITLAN (in Messico), dove risiede l’imperatore.

Nel caso degli Incas la situazione è diversa. Sempre nello stesso periodo cominciano un’espansione territoriale di dimensioni notevoli. Incontrano però la resistenza dei MAPUCHE, i quali ostacoleranno anche gli spagnoli. Nel periodo di massima espansione, l’impero Incas era formato da più di cento gruppi etnici diversi.

Nel 1519, fino al 1522, Hernand Cortes conquista gli imperi Azteco e Incas. In quel momento, anche l’impero Azteco era un mosaico di staterelli, diversi tra loro per origini, lingua ed economia. Questi stati – provincia avevano una notevole autonomia, ma erano in ogni modo soggetti al dominio, soprattutto tributario, di TENOCHTITLAN. L’impero Azteco era caratterizzato per la maggior parte dalla guerra e dal commercio. Le province che costituivano l’impero Azteco non erano necessariamente contigue. Le province dipendevano tutte dalla capitale, per quanto riguarda i tributi, ed erano legate tra loro dal commercio. In questo situazione la guerra ha una ruolo portante nella società, perché tramite la guerra si conquista un territorio, si attuano tributi e si attiva un circuito di scambio commerciale più ampio. La guerra è anche ciò che nutre la religione, infatti, nell’impero Azteco erano tipici i sacrifici umani. Le vittime erano acquisite dai guerrieri tramite la guerra, erano, infatti, i prigionieri. I commercianti dovevano comprare i prigionieri per il sacrificio. I sacerdoti, invece, li sceglievano.

Nello stesso periodo, nell’impero Incas, le parole chiave erano reciprocità e redistribuzione. L’impero Incas viene conquistato nel 1532. Le etnie che costituivano l’impero avevano come base sociale la comunità agricola (AYLLU), che era il nucleo dell’organizzazione politica, economica e sociale dell’impero. La complessa rete di relazioni era basata sulla parentela e sul legame con la terra (si trattava di un legame ancestrale). Gli AYLLU erano aggregati in gruppi tribali o piccoli regni. L’Inca (che era un semidio), era il punto di riferimento che aggregava tutte le entità dell’impero.

Nathan Wachtel è il principale studioso dell’impero Incas. È sua l’elaborazione dei due elementi reciprocità e redistribuzione.

Reciprocità si ha quando esistono rapporti di tipo simmetrico tra individui o gruppi umani. Vale a dire che i doveri degli uni corrispondono a doveri degli altri. La base di questa reciprocità è sempre il legame parentale, che implica un mutuo scambio. Nella società Inca la reciprocità è una caratteristica fondamentale dell’AYLLU (rapporti orizzontali di parità).

La redistribuzione presuppone un rapporto verticale, una gerarchia tra gruppi sociali, e un centro coordinatore. Dal punto di vista economico significa che i prodotti dei singoli AYLLU vengono convogliati verso il centro, che li ridistribuisce. La redistribuzione si base su un asimmetria, perché il centro trattiene una parte di ciò che riceve.

Nei gruppi tribali esterni agli imperi Incas e Azteco, sono presenti elementi, a scala locale, che li accomunano con gli imperi stessi:

  1. Aggregazione d’unità diverse ma assimilabili;
  2. L’importanza dei legami di parentela
  3. La guerra sia com’espressione d’indirizzo politico sia come strategia di scambio e rituale religioso.

Emil Durkheim, nel 1893, definì le società tribali come società segmentarie, cioè costituite da segmenti che insieme formano un clan, e organizzati su base politico – familiare.

In effetti, le tribù centro – sudamericane sono gruppi locali indipendenti. All’interno dei villaggi è evidente l’intreccio tra parentela, politica ed economia, che non possono essere considerate separatamente. Quest’intreccio si attua in un determinato territorio.

Mercoledì 27 febbraio 2002

Tra il 1519 ed il 1550 gli spagnoli ed i portoghesi conquistano alcune aree dell’America Centro – meridionale. I portoghesi si limitano a ristrette aree sulla costa e all’interno del Brasile. Gli spagnoli conquistano una larga area dell’America Centrale e dell’America Meridionale – pacifica. La conquista spagnola è stata più forte nei territori occupati da società complesse che avevano prodotto delle forme di stato. Nella maggior parte dell’America Meridionale e dell’America Settentrionale la conquista fu molto più lenta e difficoltosa. Questo dipese dal tipo di culture e società che gli europei incontrarono in quelle regioni. Nel caso delle società frammentarie, la conquista era più lenta in quanto ogni villaggio doveva essere conquistato a sé, mentre per le società complesse bastava assoggettare chi comandava.

Esplorazioni, scoperte e conquiste

Le esplorazioni e le scoperte dell’America sono una cosa ben diversa dalla conquista. Dal 1492 al 1519 possiamo parlare di un periodo di esplorazioni e scoperte, piuttosto che di conquista. Nel 1519 la spedizione di Cortes parte da Cuba e conquista gli Aztechi. Nel 1532 Pizano conquistò gli Incas. Nel 1535 gli spagnoli fondarono la città di Buenos Aires per la prima volta. Nel periodo 1540 – 1550 si conquista l’attuale Cile.

Nel caso del Brasile la situazione è diversa in quanto lì non vi erano società gerarchizzate. Infatti, si può parlare, in questo caso, di colonizzazione più che di conquista. La colonizzazione, sia da parte degli spagnoli sia dei portoghesi, comincia nel 1550.

Colonizzazione

Gli elementi societari portati dall’Europa in America si trasformano e non vengono portati e impiantati così come esistono in Europa. Questo perché i colonizzatori si trovano ad interagire con gruppi storici diversi, e più tardi con gruppi etnici meticci nuovi, i quali cresceranno mentre gli indios diminuiranno.

Il “requerimiento” era un testo che veniva letto dagli spagnoli una volta che sbarcavano in un nuovo posto per conquistarlo; veniva letto agli indigeni. Questo testo ci spiega quali erano i principi fondamentali sui quali si basava la conquista iberica. Questo testo evidenzia i tre fondamentali giuridici della conquista dell’America:

  1. Il diritto di scoperta e di prima occupazione;
  2. La concessione del Papa che conferisce ai sovrani la possibilità di occupare le nuove terre;
  3. Il trattato di Tordesillas tra Castiglia e Portogallo, in base al quale Spagna e Portogallo si spartivano tutte le terre ancora sconosciute del mondo.

Il diritto di scoperta e di prima occupazione faceva sì che i territori appartenessero alle due corone. Infatti, è più appropriato parlare di dominio più che di colonia. Quindi gli abitanti di queste terre hanno lo stesso status degli abitanti della penisola iberica, sono cioè vassalli del Re. La terra non è di proprietà di chi la scopre o di chi la coltiva, ma della corona. Questo implica il diritto e dovere di evangelizzazione. L’evangelizzazione è ciò che legittima il dominio. Infatti, è il Papa che concede questa prerogativa alle due corone. Le mire portoghesi riguardavano più l’Africa e l’India, ma con il trattato di Tordesillas i portoghesi si assicuravano un pezzo dell’America Meridionale.

L’azione di conquista non deriva da un investimento del sovrano ma da un’impresa privata. Quindi, i sovrani a loro volta concedono a privati l’impresa della conquista di un territorio che sarà di proprietà delle corone. Le tensioni tra corona e colonizzatori sono il motivo delle negoziazioni e delle molte leggi che furono emanate nel primo secolo della colonizzazione, per evitare che i coloni avessero troppo potere e troppa autonomia. D’altra parte i colonizzatori volevano arrivare ad avere più libertà.

La penisola Iberica prima della scoperta dell’America

Nel 1492 accadono tra fatti importanti:

  1. La presa di Granata e la scacciata degli Arabi
  2. La scacciata degli Ebrei
  3. La scoperta dell’America

La cultura iberica, diversamente dal resto d’Europa, era ritenuta più disponibile all’apertura ad altre culture. Questo a causa della conquista e dell’occupazione araba della penisola.

Nel 711 inizia la conquista e l’occupazione araba nella penisola iberica. Grazie alle continue relazioni interetniche la cultura iberica si è sviluppata in un gioco di squilibri che non riguardava solo la contrapposizione cristiani / musulmani, ma anche tutta la pluralità di regni, stati, lingue, culture e dinastie diverse che componevano la penisola.

La riconquista si attua attraverso l’attacco a singoli nuclei di occupazione; infatti, l’occupazione araba era del tipo “a macchia”.

Cronologia:

711 – inizio della conquista araba

900 – Massima espansione araba e frammentazione in piccoli regni e stati, sia nel mondo araba che in quello cristiano

1064 – Liberazione di Coimbra

1147 – Liberazione di Lisbona

1200-1400 – Nella riconquista spagnola emerge l’egemonia dei regni di Castiglia e di Aragona.

Fino al 1385 Castiglia è molto influente sul Portogallo e sulla sua riconquista. In questo anno inizia la dinastia d’Aviz con Joào I, che sarà considerata, a livello di cultura popolare, fondamentale per il regno di Portogallo e Brasile.

Nel 1400 la riconquista spagnola è completata, attraverso l’occupazione di luoghi strategici.

Martedì 05 marzo 2002

Seminario dott.sa … (Università di Mendoza, Argentina)

Le politiche d’immigrazione

Nel 1888 viene sancita, in Argentina, la prima legge sull’immigrazione. Fino al 1950 in Italia era diffuso il pensiero che l’emigrazione fosse una valvola di sfogo per gli squilibri sociali della penisola. Nel tempo, si passò da un atteggiamento indifferente ad uno di protezione degli emigranti.

Nel quarto periodo d’immigrazione, questa cominciò ad essere considerata importante, in tutta Europa, per gli equilibri dello stato di destinazione.

Bisogna tener conto, in Argentina, della relazione uomo – spazio. Questi due elementi furono fondamentali per le scelte politiche argentine. Le idee comuni erano che lo spazio doveva popolarsi per uno sviluppo economico e culturale, sempre facendo riferimento all’Europa, continente a cui l’Argentina ha sempre fatto riferimento, come si vede dalle caratteristiche culturali del paese.

Dopo il periodo coloniale, finito nel 1816 (indipendenza), l’Argentina ha voluto uscire dalla politica restrittiva d’immigrazione spagnola, che faceva immigrare solo spagnoli e cattolici. Subito dopo l’indipendenza, il governo argentino sancì decreti per proteggere gli immigrati, offrendo terra, alloggi e alimenti.

Bernardino Rivadavia nel 1812 faceva parte del triumvirato, dal 1820 al 24 fu ministro dell’economia e nel 1826 fu nominato presidente. In quel momento il paese si chiamava “Provincias Unidas del Rio de la Plata”. Rivadavia, per quanto riguarda l’immigrazione, si basava sul concetto che il paese era molto esteso e molte terre dovevano essere civilizzate. Quindi, si cercarono politiche d’immigrazione selettiva. Però non si attuarono a causa dei conflitti interni ed esterni dell’Argentina, e a causa della rivoluzione industriale in Europa.

Quando, nel 1830, Juan Manuel de Rosas governa la provincia di Buenos Aires (dal 1829 al 1852, con una specie di dittatura, non militare), venne sospeso il blocco all’immigrazione. Dopo de Rosas le politiche di Rivadavia vengono riesumate da politici come Juan Bautista Alberdi, Domingo Faustino Sarmiento, Bartolomé Mitre, Nicolas Avellaneda, che vedevano il progresso Argentino nello sviluppo civile della popolazione, con modello l’uomo europeo. Ad esempio, i figli degli argentini venivano inviati in Europa a studiare. Quindi, l’immigrazione europea fu favorita, cercando di popolare l’interno, grazie all’estensione delle ferovie che permettevano di raggiungere l’interno più facilmente. Sarmiento creò una commissione centrale d’immigrazione, nel 1869, e nel 1872 un ufficio centrale del lavoro. La politica di Sarmiento fu completata da Avellaneda, con la legge d’immigrazione e colonizzazione, creando il dipartimento generale d’immigrazione e le commissioni interne. Fu costruito l’Hotel degli immigrati, dove gli immigrati potevano alloggiare e alimentarsi in attesa di trasferirsi alla destinazione definitiva.

La “generazione dell’80” erano quei politici, di cultura europea, che portarono avanti le idee “positiviste” e fecero progredire economicamente e socialmente il paese. Fu questo il momento della grande immigrazione (“Immigracion en masa”). 1.130.000 immigrati raggiunsero l’Argentina dal 1880 al 1890, di cui il 45% erano italiani. Nel periodo 1900 – 1930 si ha una nuova visione dell’immigrazione: non tutti gli europei erano buoni e portavano alla civilizzazione. Questo perché arrivarono persone con problemi sociali e idee politiche sovversive. Nel 1902 fu sancita una legge, la “Legge di Residenza”, sotto la presidenza di Julio Roca, che permetteva di cacciare gli stranieri che potevano essere motivo di disturbo per il paese. Inoltre, i conflitti bellici in Europa frenarono il flusso migratorio.

Dal 1930 al 1945 l’Argentina subisce una depressione economica, aggravata dalla depressione mondiale. L’Argentina era un grande esportatore di prodotti agricoli, e in questo momento di depressione vengono messe in discussione le politiche agricole in favore di un processo di industrializzazione, nel quale viene impiegata la manodopera nativa, a discapito dell’immigrazione.

Dopo il 1945 sale al governo Peron, un generale dell’esercito che dopo un periodo di rivoluzione e di caduta del sistema istituzionale, fondò un partito politico chiamato Peronista, che oggi si chiama Justicialismo. Il primo governo Peron fu il migliore, il secondo ed il terzo portarono il paese a conflitti interni.

Questo nuovo orientamento politico e sociale apre nuovamente le porte agli immigrati. Molti europei, soprattutto italiani, avevano problemi sociali causati dalla guerra e questo favorì l’emigrazione verso l’Argentina, anche se il flusso era molto inferiore agli anni precedenti. In Argentina scaturirono flussi migratori interni, dalle province alla capitale e dai paesi vicini verso l’Argentina. Le idee sull’immigrazione prodotte dalla classe politica argentina furono addirittura inserite nella costituzione, che lascia aperte le porte a chiunque voglia immigrare nel paese.

Mercoledì 06 marzo 2002

La provincia di Mendoza

Mendoza dista 1100 chilometri da Buenos Aires (1 ora e 30 minuti in aereo), non ci sono ferrovie che collegano le due città, perché recentemente il governo ha sospeso il servizio, perché la tentata privatizzazione non ha dato i frutti sperati.

La superficie della provincia è di 148827 chilometri quadrati, la settima in ordine di grandezza. Si trova alla frontiera con il Cile (ad Ovest), confine naturale creato dalla Cordigliera delle Ande. Ad Est c’è un’altra frontiera naturale, il fiume Desaguadero, oltre il quale si trova la provincia di S. Luis. A Sud-est c’è la Pampa e a Sud la provincia di Neuquen, divisa da due fiumi.

La provincia di Mendoza può essere divisa in tre regioni:

  • La Cordigliera, ad Ovest
  • La zona vulcanica, a Sud
  • La pianura di Mendoza, ad Est.

La regione montagnosa è costituita dai monti più alti che formano grandi valli, le quali ospitano poca popolazione; la vallata più importante è Uspallata, dove risiede un reggimento militare. Las Cuevas, pochi abitanti, si trova a 3400 metri S.L.M., alla frontiera con il Cile. Siccità, altitudine, molto vento e temperature basse non permettono la crescita di vegetazione, facendo sì che il territorio appaia desertico. La zona è ricca di ghiacciai che offrono un panorama stupendo. Neve e ghiacciai alimentano i fiumi che attraversano la provincia.

Al Sud si trova la zona vulcanica, la Pajunia. La vegetazione è molto povera e la risorsa principale è il turismo, giacché la zona è protetta e la natura conservata.

La pianura si presenta come un piano inclinato con pendenza ad oriente e comprende gran parte del territorio della provincia. I fiumi che la attraversano sono il Mendoza ed il Tunujan, che affluiscono al Desaguadero. La zona tra i due fiumi (Valle de Huco), è importante per gli alberi da frutta, gli ortaggi e la vite. Altri fiumi sono il Diamante e l’Atuel, lungo il quale si trovano centri economici importanti, come San Rafael (produzione vinicola).

La Cordigliera delle Ande impedisce l’accesso dei venti umidi pacifici, e la distanza dall’Atlantico non favorisce la venuta dei venti atlantici. Per questo, il clima della provincia è secco, freddo d’inverno (il mese più freddo è luglio, il più caldo gennaio 37-38°). L’umidità può arrivare al massimo al 59%. Il vento Zonda è caratteristico della provincia, si origina nel pacifico, d’aria fredda, e scarica tutta l’umidità quando attraverso la Cordigliera; quando arriva a Mendoza è secco e causa forti alzamenti di temperatura. Il vento Zonda è tipico d’Agosto. Inoltre, può succedere che abbia un’intensità tale da creare problemi alle costruzioni ed agli alberi.

La popolazione è concentrata nella pianura e pratica l’agricoltura. Gran parte degli immigranti, dopo la costruzione delle ferrovie (1885), sono giunti a Mendoza, nonostante le difficoltà climatiche. In quel periodo, a causa dello spopolamento, si favorì l’immigrazione a Mendoza, che presto divenne una provincia importante.

I mendozini sono persone accoglienti, seguono una dieta ricca di carne (asado, empanada) e praticano la siesta dopo pranzo, necessaria per riposare in un ambiente dal clima così ostile.

Il 02 marzo 1561 Pedro del Castillo fondò la città di Mendoza. La zona era abitata dagli indigeni Huarpes ed era chiamata Valle de Huantata. All’inizio fu un problema stabilire la popolazione in quella provincia. Fino al 1776 la città faceva parte del Virreinato del Perù, dopo di che fu creato il Virreinato del Rio de la Plata, nella giurisdizione della Gobernacion de Cordoba del Tucuman. I mendozini avrebbero voluto far parte di una giurisdizione più piccola e meno lontana dal centro (Buenos Aires). Nel 1813 si formò una nuova giurisdizione Mendoza – San Juan – San Luis, chiamata Gobernacion de Cujo, non più parte del Rio de la Plata, caduto nel 1810. Nel 1814 è nominato governatore di Cujo il generale José de San Martin, che fece progredire la regione, considerato ancora oggi il padre della “patria”, poiché portò avanti l’idea d’indipendenza (in passato portò all’indipendenza il Cile ed il Perù). José de San Martin e Bolivar sono due uomini importanti per l’emancipazione dell’America del Sud.

San Martin fondò la prima biblioteca di Mendoza. Nel 1820, in piena disputa Unitarios – Federales, Mendoza non fu esente da tali influenze politiche. Nel 1854 fu la prima provincia ad emanare la sua costituzione provinciale, un anno dopo aver aderito a quella argentina.

L’immigrazione ebbe un ruolo molto importante. Dopo la fondazione, la popolazione era molto scarsa e le condizioni climatiche non favorirono l’afflusso di gente. Nel 1886 la Commissione d’Immigrazione di Mendoza promosse l’immigrazione, favorita dalle ferrovie (1885). Gli spagnoli e gli italiani sono la maggior parte degli immigrati, molti dei quali impiantarono importanti complessi industriali o agricoli. La città di Mendoza si trova in una zona sismica e molti terremoti hanno distrutto le costruzioni più antiche, per questo la città si presenta come una metropoli moderna.

http://www.uncu.edu.ar

Lunedì 04 marzo 2002

Argentina – Geografia

Nel 1860 il nome “Repubblica Argentina” diventa ufficiale. Lo stato è diviso in 23 province più un distretto federale dove sono situati i centri di potere, oltre alle terre antartiche e relative isole. L’Argentina ha una superficie di circa 3.700.000 chilometri quadrati, dieci volte l’Italia. L’ultimo censimento dava una popolazione di circa 37.000.000 d’abitanti, poco più di metà degli italiani. Nel nord ovest la regione è montagnosa (3.800 m s.l.m.) e desertica. Nella CHAQUEÑA, pianeggiante, si coltiva il cotone. La regione MESOPOTAMICA, chiamata così perché si trova tra due fiumi, ha una gran varietà di coltivazioni. Ai piedi della Cordigliera delle Ande si trova la regione del [CUGO], desertica, con alte montagne, come l’ACONCAUA (6.959 m s.l.m.). Nel centro si trovano la SIERRAS PAMPEANAS e la PAMPA UMIDA, quest’ultima regione piovosa e ricca di coltivazioni e pascoli oltre che d’industrie. Al sud, la regione delle ANDES PATAGONICAS, importante per il turismo e l’estrazione di minerali. La popolazione si concentra nella PAMPA e a Buenos Aires, dove vive circa il 70% degli argentini.

Argentina – Storia

L’Argentina raggiunge l’indipendenza nel 1816, dopo la “Rivoluzione di Maggio” del 1810, quando furono interrotte le relazioni con il Re Ferdinando VII, ai tempi prigioniero di Napoleone. Il 9 luglio 1816 la regione del PLATA rompe le relazioni con la Spagna e comincia il processo d’indipendenza. Si formano due movimenti, gli UNITARIOS ed i FEDERALES; i primi volevano uno stato centralizzato, i secondi uno federale. JUAN MANUEL DE ROSAS, dal 1829, portò avanti il progetto federale, contro le idee di Buenos Aires. Nel 1852 ROSAS cade e nel 1853 fu sancita la costituzione, che prevede un regime federale, repubblicano e rappresentativo. Quindi da quel momento ci sarà un governo centrale con un presidente. Nelle province è eletto un governatore. Sia governo centrale che federale hanno potere esecutivo. Le due camere parlamentari hanno potere legislativo e sono costituite da membri di tutte le province. Inoltre, ogni provincia ha un suo parlamento.

Dal 1860 l’immigrazione italiana era quella preponderante. Si parla di quattro momenti d’immigrazione:

  1. Fino al 1876: prima legge d’immigrazione;
  2. Fino alla prima guerra mondiale;
  3. Tra le due guerre;
  4. Dopo il 1945.

Primo momento d’immigrazione

In questo periodo l’immigrazione italiana cominciò ad affluire naturalmente, fino al 1860. In pochi anni furono 12.000.000 gli italiani emigrati in Argentina. La condizione economica degli immigrati era il problema maggiore. In quegli anni l’Italia era un paese agricolo e aveva bisogno di manodopera, quindi furono stabilite leggi per frenare l’emigrazione.

Secondo momento d’immigrazione

Gli emigranti crescono in maniera spropositata, ma gli emigrati in Argentina sono meno, rispetto al periodo precedente. In questo periodo in Italia c’era una depressione economica che favoriva l’emigrazione. Nel 1913 un italiano su quattro emigrava e lo stato cercava di proteggere gli emigranti con leggi.

Terzo momento d’immigrazione

Tra le due guerre, l’immigrazione italiana in Argentina rallenta, solo il 36% degli emigranti italiani va in Argentina. In Italia scaturisce un movimento migratorio interno (da sud a nord e dalle campagne alle città), principale ostacolo all’emigrazione esterna. Questo causò problemi in Argentina, che sin dal 1812 aveva puntato tutto sull’immigrazione, per popolare le molte terre disabitate.

Lunedì 11 marzo 2002

Film: “Mission”

Il film “Mission” si svolge dopo il trattato di Madrid del 1751, quando Spagna e Portogallo ridefiniscono i loro confini dopo il trattato di Tordesillas, poiché l’avanzata portoghese in America era sta notevole. Questo trattato in realtà dura solo dieci anni, ma è importante giacché segna quel momento istituzionale caratterizzato da riforme nella penisola Iberica ed in America. I punti nevralgici del trattato erano:

  • A Nord, l’Amazzonia, e quindi il commercio e la navigazione sui fiumi Madeira e Mamuré, che fino al 1713 erano, sulla carta, in mano ai francesi.
  • A Sud, la spartizione di quei territori popolati da indios Guarnì, in passato alleati con gli spagnoli e usati per combattere i portoghesi. La maggior parte di questi indios erano controllati dai missionari gesuiti.

Con i nuovi confini del trattato, gli indios Guarnì vengono a trovarsi in parte in territorio spagnolo, in parte portoghese. Questi indios erano usati come manodopera schiava dai portoghesi (erano chiamati Bandeirantes, Paulistas o Mamelucos). Da un lato, i missionari reclamavano il “controllo” degli indios ed il loro status d’uomini liberi, dall’altro lato gli avventurieri scendevano lungo i fiumi verso le missioni per catturare gli indios e quindi venderli al mercato degli schiavi.

In quel periodo gli schiavi in America meridionale erano indios, perché il mercato locale era ancora periferico al mercato mondiale e non produceva abbastanza ricchezza da poter acquistare gli schiavi africani.

Nel 1750 il Marchese de Bombal, salito al potere, iniziò delle riforme in Portogallo e brasile, sancendo, nel 1758, la fine della schiavitù degli indios. Nello stesso anno abolì la schiavitù africana solo in Portogallo, mentre nelle colonie rimase in vigore, continuando anche dopo l’indipendenza del Brasile (1822), per essere abolita nel 1888, poco prima della proclamazione della repubblica.

Lunedì 11 marzo 2002

Colonizzazione

Nei primi anni della conquista il commercio si basò sui saccheggi delle ricchezze degli imperi indigeni, in seguito si organizzò sulla base della manodopera india. Le terre conquistate erano di proprietà della corona, ma l’azione della conquista fu il prodotto di un’azione privata; il Re assegnava in appalto ad imprese la conquista del territorio. Fino alla fine del ‘600, tutto questo portò ad una serie di tensioni e aggiustamenti tra corona e conquistatori. La corona voleva mantenere il dominio dei territori, evitando la creazione di nuovi regni.

Un aspetto fondamentale della conquista fu la fondazione delle città: in questo vediamo una continuità tra la reconquista iberica e la conquista spagnola. Infatti, la conquista in America Latina, riprende i metodi della reconquista. Il principio era fondare una nuova città e organizzare così un nuovo spazio (cristiano), sul modello dell’accampamento romano. La città era il simbolo dell’avvenuta conquista e dell’insediamento dei coloni. Inoltre, le città erano avamposti che bloccavano l’eventuale colonizzazione concorrente.

Nelle città si svolgevano tutte le attività politiche, religiose ed economiche. Le attività religiose si espansero anche al di fuori, con le missioni.

Un’altra continuità con la reconquista è che la città è pensata in tutti i suoi elementi, prima di essere fondata. Dalla capitale arrivavano precise indicazioni su come dovevano essere costruite le strade, le case e tutte le infrastrutture.

Nel giorno stesso della fondazione, sono create alcune istituzioni:

  • Il consiglio comunale, formato dai fondatori, vale a dire gli uomini armati che hanno occupato il territorio e, in base alla lettera del Re, hanno fondato la città.
  • Tutti i presenti cristiani, sono i Vessinos, in altre parole i cittadini, e nel caso specifico diventano cittadini fondatori, e costituiscono un’elite.
  • La parrocchia, dedicata allo stesso santo cui è dedicata la città; in effetti, il nome della città era dato in base ad una formula che era “nome del santo + attributo”. All’interno delle città fondate vi era una gerarchia che poteva a sua volta influenzarne il nome.

Il Re poteva attribuire particolari facoltà ad una città, che aveva quindi il diritto di trattare direttamente con la Corona.

Fondare una parrocchia era importante soprattutto per la missione evangelizzatrice. Inoltre, permetteva un’altra forma d’aggregazione sociale: la confraternita, attraverso la quale si creavano gruppi alternativi di potere e quindi nuove forme per ottenere prestigio.

La città ha un territorio intorno, che può essere molto ampio, perché all’inizio della colonizzazione non si hanno confini precisi. Il territorio intorno era tendenzialmente indio, e dopo la fondazione della città era organizzato dalla stessa, attraverso le istituzioni create. Il territorio circostante si espande finché non s’incontra il territorio di un’altra città. Questo territorio è distribuito in appezzamenti, più o meno grandi secondo la gerarchia. Ai fondatori toccherà quindi più terra. In ogni modo, il proprietario del territorio è sempre la corona.

Una volta distribuita la terra è necessaria la manodopera, e quindi bisogna “distribuire” gli indios, che sono suddivisi tra i fondatori attraverso il “repartimiento”. Però gli indios non possono essere fatti schiavi, quindi si stabilisce l’obbligo di una comunità india di servire un appezzamento di terra. Queste comunità indie sono ristrutturate sul modello della città coloniale, e a capo sono messi i Caciques, cioè i capi indios, scelti tra l’elite india, che sarà quindi alleata di quella coloniale. Spesso i Caciques non corrispondono veramente all’elite india, creando tensioni all’interno della comunità. In effetti, la comunità demandava a Caciques una persona che magari parlava spagnolo, ma questo non significa che appartenesse, ad esempio, alla casta dei guerrieri.

L'”encomienda”, che non va confusa con il repartimiento, è la concessione, da parte del sovrano a personaggi di prestigio della colonizzazione, dell’esazione dei tributi, che derivano dalla produzione indigena o, in caso di povertà, derivano dal lavoro indio. In questo modo si crea una situazione simile alla Signoria.

Tutta questa situazione organizza il territorio e crea una struttura forte, anche se genera una tensione tra corona e colonizzatori, giacché l’encomienda può diventare una signoria. Per questo l’encomienda non fu mai, a parte un breve periodo, ereditaria.

Martedì 12 marzo 2002

Colonizzazione del Brasile

La dinastia d’Aviz comincia nel 1385 e da quell’anno comincia la divisione tra il mondo spagnolo e portoghese. La dinastia d’Aviz comincia una politica di sfruttamento delle risorse interne, basata sulla borghesia, lasciando da parte l’aristocrazia che era legata a Castilla. Nel 1386, dopo un matrimonio, iniziano i rapporti felici con l’Inghilterra, la quale permette agli Aviz di avere una certa libertà di commercio ed esplorazione attraverso accordi; così il Portogallo può dedicarsi alla navigazione atlantica. Il periodo delle grandi esplorazioni marittime portoghesi comincia, infatti, alla fine del ‘300. Nel 1415 è importante la preso di Ceuta (Marocco), che funge da rilevante porto oltremare. Nel 1441 inizia la tratta portoghese degli schiavi, non più legata alle tratte interne sahariane, ma alle rotte marittime. Enrico il Navigatore, tra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘400, è un principe che si occupa della crescita della flotta portoghese e dell’incremento delle esplorazioni. Lo scopo fondamentale di queste esplorazioni era creare delle postazioni (Feitorias) sulla costa africana che fungessero da scali nel raggiungere l’India. Nelle feitorias s’insediano i portoghesi che trattano le merci (schiavi) da portare in patria. Enrico il Navigatore muore nel 1460 ma il suo progetto continua con gli eredi.

Considerando il trattato di Tordesillas solo dal punto di vista americano, non capiamo cosa esso significasse per i portoghesi. Quello che interessava i portoghesi era avere basi giuridiche per instaurare commerci con l’India.

Tra il 1497 ed il 1498, Vasco da Gama compie la sua spedizione in India, che porta all’insediamento stabile portoghese a Calcutta. Dal 1500 iniziano le flotte annuali portoghesi verso l’India.

Le feitorias, in Asia, non bastano più e si forma una vera e propria amministrazione ed un governo portoghese in India. Nel 1505 abbiamo il primo viceré portoghese in India. Quando nel 1500 Cabral arriva in America, il Portogallo è completamente rivolta all’India, e grossi sforzi erano chiesti ad una popolazione così scarsa. Si consolida una classe di funzionari pubblici nelle colonie che danno la garanzia di continuità del governo.

La schiavitù era fondamentale, perché il commercio di schiavi diventa un tassello importante per la costruzione di quest’impero coloniale.

In questa situazione, la piccola fetta americana toccata al Portogallo era di relativa importanza, e dal 1501 al 1533 (primo periodo della colonizzazione del Brasile) la conquista in America era poco organizzata e limitata all’applicazione del sistema africano, con le feitorias, e non si perseguiva l’idea di occupare intensivamente quei territori. I Portoghesi convivevano in quelle terre con altre popolazioni, soprattutto corsari francesi e tedeschi.

In questo primo periodo non ci si limita a scarsi insediamenti di popolazione, ma si parte con un’impresa commerciale, il Pau Brasil, un colorante estratto da un particolare legno. Questo legno è raccolto dagli indigeni che lo vendono ai portoghesi. Quest’impresa è affidata dal sovrano a dei privati, i quali arrivati sulle coste brasiliane stabiliscono contatti con le tribù indigene, che recidono gli alberi ed esauriscono le risorse forestali in poco tempo. Questo causa un allontanamento dei boschi dalla costa, con conseguente aumento dei costi e calo dei profitti.

Ma mentre succedeva tutto questo, i francesi avevano preso il sopravvento. Nascono lotte tra portoghesi, francesi e tedeschi e alleanza tra le tribù e i gruppi europei. I portoghesi allora riorganizzano l’occupazione e dal 1533 al 1549 (secondo periodo della colonizzazione del Brasile) si formano le capitanias, che consistevano in capitanerie, in cui era diviso il territorio assegnato al Portogallo dal trattato di Tordesillas. Da queste capitanerie i portoghesi potevano penetrare all’interno, anche oltrepassando il confine stabilito dal trattato, finché non incontravano altri colonizzatori che occupavano il territorio (spagnoli). Con le capitanias inizia un’organizzazione del territorio con la formazione di signorie, per evitare l’entrata di stranieri in Brasile. I territori erano assegnati ai donatarios con la Carta de Doaçao. Ciascun donatario aveva la responsabilità del territorio affidatogli dalla corona, dall’evangelizzazione, alla difesa degli abitanti portoghesi e non portoghesi, alla messa a frutto del territorio, e quindi allo stabilirsi di relazioni commerciali con gli indigeni, ma anche alla creazione di colture che servissero al mantenimento degli abitanti. Questo sistema funzionò solo per due capitanerie, Sao Vicente a sud a Pernambuco a nord. Questo perché in molti casi i donatari non si recavano neanche in America, ma ritenevano la donazione ricevuta dalla corona come un merito in più. A Pernambuco funzionò perché s’impiantò la coltivazione della canna da zucchero, e a Sao Vicente perché era un punto strategico al limite del territorio spagnolo. Attraverso il donatario viene esportata in America un’istituzione medievale portoghese, che continuerà in Brasile fino al 1850, la Sesmaria, che però si trasforma profondamente. La sesmaria è la concessione da parte del sovrano di un appezzamento di terra a persone meritevoli ed in grado di metterla a frutto; nel caso portoghese ha dimensioni limitate, e serve nel medioevo per lo sviluppo d’attività agricole di medie dimensioni. Nel caso brasiliano ha dimensioni abnormi. Il sesmeiro non conosceva neanche i confini della terra ricevuta. Queste grandissime sesmarias furono il punto di partenza per un’elite. Solo che aveva la possibilità di mettere la terra a frutto, cioè avere la manodopera, riceveva la terra.

La manodopera all’inizio era india (che però si rivelò instabile) e successivamente africana. L’istituto della sesmaria si sviluppa solo nel periodo successivo, perché in questo momento si è ancora in una fase instabile, con gli olandesi a nord ed i francesi a sud.

Nel 1549 (inizio del terzo periodo della colonizzazione del Brasile, che finisce nel 1565), si ha un’altra riforma. Nel ’49, parte una grande spedizione dal Portogallo al Brasile, con a capo Thomé de Souza, che, con soldati, coloni e sacerdoti, raggiunge il nord – est del Brasile e fonda “Sao Salvador da Bahia De Todos Os Santos”. In seguito si cerca di eliminare le influenze straniere dal territorio, concentrandosi a sud dove c’erano i francesi e la loro Francia Antartica. I francesi vengono sconfitti solo nel 1565 da Mem de Sa, che diventerà governatore del Brasile e fonderà la città di Rio de Janeiro.

Amministrazione e governo coloniale

La corona, diretta proprietaria delle terre, fonda delle istituzioni per controllare i nuovi domini. Cavilla, nel 1503, istituisce la “Casa de la contrataciòn”, che viene sciolta solo nel 1790. questa istituzione gestisce le relazioni commerciali tra le colonia e la madrepatria, comprese le flotte, e riscuote i tributi. Nel 1511 si istituisce il “consejo di Indias”, che funziona realmente dal 1524. Queste due grandi istituzioni hanno lo scopo di trasmettere il volere della corona ai domini americani. Il Consejo de Indias si occupa dell’amministrazione, sancisce le leggi, proponendo i funzionari da mandare in America, e funziona per l’America come suprema corte di giustizia. In America le istituzione sono il Cabildo e l’Audiencia, che inizialmente era un tribunale ma più tardi diventa un organo amministrativo, che controlla soprattutto i funzionari. Un’altra istituzione americana era il Vicereame 8dal 1535), a capo del quale c’era un viceré, proveniente dall’aristocrazia, e che aveva una carica temporanea e non ereditaria. Il viceré per le questioni importanti deve convocare o consultarsi con le Audiencias, le quali hanno un ruolo di controllo nei confronti del viceré. Le Audiencias potevano avere diverse dimensioni e importanza. Quelle più importanti erano quelle dove c’era anche la capitale del vicereame.

Per quanto riguarda il Portogallo l’amministrazione statale si instaurò in America nel 1549, con la fondazione di Bahia, che diventa sede del Governatore Generale. L’Ouvidor è il magistrato reale, che con il tempo si moltiplica, e ogni capitaneria avrà il suo ouvidor. Verso la fine del secolo viene stabilita una corte suprema locale (1587) e solo nel 1751 se ne fa un’altra nel Brasile meridionale (anno del trattato di Madrid). I diversi governatori delle capitanias dipendono dal Governatore Generale e ogni volta che se ne forma una nuova ne viene eletto uno. Il viceré in Brasile viene istituito nel 1640, quando il Governatore Generale viene trasformato, appunto, in viceré. Il Conselho Ultramarino viene istituito nel 1604.

Spagna

Portogallo

Casa de la Contrataciòn

Conselho di Indias (dopo Ultramarino)

Consejo de Indias 1524

America

America

Vicerè

Governatore Generale (dopo viceré)

Audiencias

Ouvidor (dop affiancato dagli altri ouvidors)

Cabildos

Capitaes Mores

Camara Municipal

Mercoledì 13 marzo 2002

Commercio

Il nodo d’articolazione tra l’Europa e l’America, per quanto riguarda il commercio, era la Spagna. Una buona fetta di commercio avveniva di contrabbando. Il Cono Sud non aveva un porto per il commercio con la Spagna, così le città del sud dovevano portare le merci, via terra, fino a Callao. Con l’indipendenza dei paesi latino-americani, i porti del sud avranno la possibilità di commerciare liberamente con le nazioni amiche. Ma prima ancora ci saranno delle possibilità, con le riforme illuministiche.

Il problema del commercio era convogliare le merci verso il porto, quindi le strade interne erano controllate dai coloni, che in parte utilizzavano le strade preesistenti, in parte le costruivano, ma erano in ogni caso scarse, a causa di un preciso progetto che serviva a rendere difficile la dispersione delle ricchezze che erano convogliate verso la madrepatria. Per quantificare ed elaborare la consistenza dei commerci si è fatto uso degli archivi presenti a Siviglia e Lisbona (fino agli anni ’70). Negli anni ’80 si è fatto uso dei documenti presenti in America, e si è potuto studiare l’organizzazione del territorio, come l’importanza delle comunità indie ed i rapporti con i porti, potendo quindi valutare il commercio interno.

Le vie di comunicazione ufficiali erano integrate dalle vie di comunicazione tribali e dalla produzione locale.

Lo scopo delle spedizioni era trovare minerali preziosi. Gli spagnoli trovarono molto argento, a Zocatecas e Potosì. Le istituzioni create per organizzare le colonie diedero vita alle grandi signorie terriere (hacienda, latifondo, fazenda, engenhos), con fondi coltivati e allevamenti estensivi, ma il punto fondamentale era l’estrazione dei minerali, che comportava la concentrazione, attorno alla miniera, d’uomini, macchine e animali. Questo provoca un’immigrazione e una concentrazione di manodopera, con conseguente specializzazione del lavoro. Il terreno intorno alla miniera era diviso in lotti e assegnato a persone, che evitavano di coltivarlo, perché non conveniente, vista la presenza di metalli preziosi. Le persone che lavoravano nelle miniere in modo intensivo non fanno altro, giacché si trattava dell’attività più lucrativa. Questo provoca una diversificazione interna dell’economia, con zone lontane dalle miniere che allevavano bestiame (per le miniere) e zone più vicine adattate all’agricoltura, sempre per rifornire la miniera. Attraverso l’allevamento, il territorio americano è occupato nella sua interezza; i prodotti dell’allevamento formano l’ossatura del commercio interno.

L’agricoltura era importante, ma la società non era particolarmente vegetariana. Le attività agricole nelle colonie erano legate fondamentalmente alla produzione d’acquavite (alcool), che però non era prevista dal patto coloniale.

Per tutto il periodo coloniale, secondo le aree, abbiamo un movimento di concentrazione delle risorse e un movimento d’espansione della popolazione, che diventa più evidente nei momenti di crisi dell’estrazione mineraria e delle attività agricole. In questi momenti d’abbassamento delle attività economiche forti, l’hacienda diventava importante, perché mezzo di sostentamento. Per questo l’hacienda costituisce la base dell’economia.

Nel tardo periodo coloniale (sec XVIII), anche le haciendas del nord diventano importanti, con il consolidamento del sistema della piantagione, che però in Brasile fu instaurato già dall’inizio, con tecnologie olandesi. Le piantagioni ebbero successo per l’ammodernamento delle tecniche di navigazione, che consentiva il trasporto più rapido della merce in Europa, evitandone il deterioramento. Con l’instaurarsi delle piantagioni cominciò anche l’utilizzo della manodopera schiava africana.

Le riforme settecentesche

Nel 1713 si da un nuovo assetto territoriale alla penisola Iberica e ai domini coloniali. I Borboni diventano la dinastia regnante in Spagna e attuano una serie di riforme che si estendono anche all’America.

Nel caso del Portogallo, le riforme cominciano prima, con il Marchese di Pombal. Gli aspetti più importanti di queste riforme sono di tipo amministrativo ed economico, è importante anche l’espulsione dei gesuiti, nel 1758 (Spagna) e 1768 (Portogallo).

Le riforme amministrative spagnole riguardano soprattutto l’istituzione delle Intendencias (1786), che si collocano tra il Cabildo e l’Audiencias, e avevano il compito di rendere più agile l’amministrazione locale. A capo c’era un Intendente che doveva orientare le attività economiche, aveva mansioni giudiziarie e poteri militari. Le Intendencias erano suddivise in Partidos. L’Intendente General stava nella capitale di Vicereame. Queste riforme hanno vita limitata, perché poco dopo cominciarono le rivendicazioni autonomiste. È importante però notare che le istituzioni Borboniche servirono ai nascenti stati indipendenti.

In Brasile le riforme furono simili. Le riforme economiche riguardarono il tentativo d’apertura del commercio, in ogni modo legato alle città spagnole e latino -americane. Nel 1760 vengono aperti i porti a Sud, prime emarginati. Nel 1778 vengono aperti numerosi porti in Spagna, cui viene consentito il commercio con l’America. In questo periodo le regioni che erano state escluse dall’affare americano si trovano inserite nel sistema (ad es. Catalogna). Si trattava della legittimazione di un dato di fatto, vale a dire l’emergere, in Spagna, di nuove aree forti.

Nello stesso periodo vengono fondate compagnie commerciali, che vengono istituite dalle autorità iberiche. Queste compagnie creavano aree di commercio e controllavano non solo l’aspetto esterno ma anche l’interiore, l’entroterra. Questo causa un incremento del commercio esterno e un declino delle attività artigianali ad uso locale. È il periodo della rivoluzione industriale e le merci che arrivano in America sono inglesi. Così si forma una nuova classe di commercianti spagnoli, che arrivano in America e sono i protagonisti della nuova fase immigratoria. Questa classe di commercianti riesce ad entrare nel governo delle nuove città di frontiera.

Nel caso di Pombal le riforme sono ricordate di più per gli aspetti sociali: in primo luogo l’espulsione dei gesuiti, che significò una relazione diretta tra stato e indios; il controllo dell’inquisizione, sia in Portogallo sia in Brasile; l’abolizione della schiavitù in Portogallo e l’abolizione della schiavitù degli indios in Brasile. La capitale era Bahia e nel 1793 fu spostata a Rio De Janeiro, spostando verso sud nel tentativo di controllare meglio la regione del Plata ed i suoi problemi di confine. Pombal attuò anche riforme commerciali. Le compagnie esistevano già dal ‘600 e vengono rafforzate. Tra le tante le due più importanti sono la compagnia del Perù e quella del Pernambuco. È ancora più evidente l’influenza inglese, in ogni caso sempre presente nei portoghesi.

Martedì 19 marzo 2002

La schiavitù

Le esplorazioni dei portoghesi iniziano alla fine del ‘300 lungo la costa africana, e nel ‘400 si evolvono con il commercio degli schiavi (1441). Già alla fine del ‘400 la tratta africana si afferma come la voce più importante del commercio internazionale. Il XVIII è il secolo in cui la merce più proficua è lo schiavo.

Fino all’inizio del ‘800 gli schiavi non erano solo neri, ma anche bianchi, però quest’ultimi perdono di significato, a causa dell’offerta di manodopera africana che era maggiore, e perché gli schiavi neri erano più riconoscibili per le caratteristiche fisiche (e quindi non potevano scappare), ma anche perché non si poteva far lavorare bianchi e neri insieme, a causa dell’idea che i neri fossero inferiori, quindi i bianchi non volevano stare con loro.

Il Papa nel ‘400 approva la schiavitù africana. Questi spostamenti massicci di manodopera hanno contribuito parecchio ad incrementare la produzione mondiale. Il Papa Alessandro VI nel 1493, con una bolla dava ai portoghesi diritti esclusivi di commercio degli schiavi (asiento), che dura fino al 1640. Dal 1660 il commercio degli schiavi africani è monopolizzato dagli olandesi. Già nel 1700 i francesi e gli inglesi si occuparono della tratta, e dal 1750 al 1807 gli inglesi hanno il predominio. Dal 1807 al 1850 la corona inglese riesce ad influenzare gli altri stati per abolire la schiavitù. In America Latina l’abolizione della schiavitù è grossomodo contemporanea dell’indipendenza. Nel 1850 il Regno Unito dichiara che la tratta atlantica non è finita e le navi inglesi iniziarono un pattugliamento dell’oceano, per contrastare lo schiavismo. Tutta la tratta degli schiavi è difficilmente quantificabile. H. Klein ha pubblicato delle statistiche su questo fenomeno, ma una misura definitiva è difficile da dare, perché le fonti sono molto diverse. In diversi calcoli fatti in modo deduttivo, sulla base del numero di schiavi presenti e sul tasso di natalità, oppure sulla base della produzione di un paese in un settore che impiegava gli schiavi, le cifre sono molto diverse, si va dai tre ai dodici milioni.

In Africa

La tratta africana esiste dal medioevo; dal 850 si hanno dei dati per quanto riguarda la tratta transahariana, che in mille anni sembra aver interessato dieci milioni di persone. La tratta asiatica (dall’Africa orientale all’India) interessò sei milioni di persone tra il 1450 ed il 1850. La tratta atlantica è stimata da Klein tra gli undici ed i quindici milioni di persone. La tratta è al centro di un incremento della produzione, che è relativo sia alla produzione degli schiavi stessi sia alla produzione per gli schiavi (ciò che si produceva per mantenere gli schiavi), sia alla produzione per la tratta (merci di scambio in Africa e aspetti finanziari).

In concomitanza con ciò che succede in Europa a fine ‘700, la tratta è uno stimolo allo sviluppo dell’ingegneria navale. Relativamente alla tratta si sviluppano le produzioni di beni come lo zucchero ed il caffè, che da elitari diventano beni popolari. L’Africa non divenne un luogo di produzione, ma di rifornimento di manodopera. Era una caratteristica tradizionale delle società africane la cattura di nemici per la vendita. L’incremento della tratta provoca un incremento delle attività guerriere africane. Nel sistema tradizionale africano gli schiavi potevano provenire dalla guerra, con la presa di prigionieri, o dall’acquisto. Lo schiavo di guerra era tenuto in maggior conto degli altri, in quanto nemico vinto, e spesso erano usati per fare la guerra; gli schiavi acquistati erano in una situazione peggiore. L’aumento delle guerre in Africa provoca degli squilibri politici e divisioni interne ai villaggi. Esistono una serie di sanzioni, legate alla giustizia africana, che prevedono la schiavitù: queste sanzioni aumentano.

In seguito agli squilibri politici africani, i mercanti organizzano carovane interne che passano per i diversi villaggi e portano gli schiavi sulla costa, dove sono venduti. Passando dai villaggi gli schiavi trasportano merce, incrementando il commercio interno africano.

Con il passare del tempo, le condizioni peggioreranno, a causa dell’aumentare della richiesta e del prezzo degli schiavi, per questo si fa razzia non curandosi del pericolo di morte dei neri, in quanto anche se alcuni morivano l’impresa avrebbe sempre avuto un profitto.

Un altro elemento importante è che la tratta diventa un’organizzazione dello stato: alcuni regni si specializzano nella vendita di schiavi.

Cadendo la richiesta di schiavi scaturirono delle crisi, in Africa, a causa della sovrabbondanza di manodopera che perse valore.

La tratta

Le navi partivano dall’Europa dopo aver ricevuto i finanziamenti, arrivavano in Africa dove scambiano merci per schiavi. Gli schiavi spesso sono battezzati nei porti di partenza e arrivavano in America, dove erano venduti. Con i proventi della vendita si comprano altre merci americane che sono trasportate in Europa. Tutto questo giro poteva durare più di un anno. La tratta più lucrativa era quella “intermedia”, vale a dire quella dall’Africa all’America.

In America

Arrivati in America gli schiavi erano impiegati nelle piantagioni, nelle miniere, nell’artigianato e nel servizio domestico. Gli schiavi erano mischiati e privati dei legami di parentela tradizionali, deculturandoli. Era imposta la famiglia cristiana nucleare (genitori – figli). Questo veniva fatto per non mettere gli schiavi nella condizione di ribellarsi, in quanto erano in numero maggiore dei bianchi. Gli schiavi impiantarono in America la loro cultura (artigianato, lingua, cucina, abitudini, ecc…).

Mercoledì 20 marzo 2002

Nel processo d’indipendenza e di nascita dei nuovi nazionalismi latino – americani, sono rivalutate alcune tradizioni d’origine africana, allo scopo di trovare i caratteri distintivi delle nuove nazionalità sudamericane che facessero la differenza con l’Europa, ma anche tra i diversi paesi dell’America Meridionale. Al momento dell’abolizione delle schiavitù, a differenza dell’America Settentrionale, non si crea una segregazione legale, anche se una separazione razziale informale non si può negare. Una parte degli africani liberati torna in Africa. Dal 1850 gli inglesi tenteranno di bloccare le navi di negrieri, vietando l’emigrazione, anche quella libera, dall’Africa all’America; invece, l’emigrazione dall’America all’Africa era libera. Intorno al 1870 (Uruguay e Argentina) e nel 1889 (Brasile), in concomitanza con la liberazione degli schiavi, aumenta consistentemente l’immigrazione europea, che sostituisce la manodopera nera.

L’indipendenza

L’indipendenza degli stati latino – americani avviene secondo tre ordini di fattori:

  1. Aspetto ideologico, le nuove circolazioni d’idee; c’era già stata la rivoluzione americana e quella francese, e negli ultimi anni del ‘700 s’incrementò la diffusione dei testi illuministici francesi, importati di contrabbando.
  2. A livello istituzionale si ha una crisi dinastica della monarchia spagnola, che avviene in seguito all’occupazione francese della penisola iberica;
  3. Fattore sociale: nei paesi latino – americani emerge un’elite creola che grazie alla diffusione dei testi europei tende all’autonomia. A fine ‘700 le insurrezioni popolari mettono in discussione i rapporti con la madrepatria, pretendendo relazioni dirette con l’America e il resto d’Europa

Fino a metà del ‘800 vediamo come le relazioni sociali coloniali siano molto presenti, segno del fatto che, dopo l’indipendenza, le ex colonie non hanno interrotto bruscamente l’eredità coloniale.

Studi recenti hanno mostrato come normalmente si metteva in contrapposizione l’aristocrazia creola e quella spagnola, mentre, essendo che le cariche pubbliche si potevano comprare, vi era una compenetrazione tre le due elite.

L’elite creola era favorevole all’indipendenza, per la paura delle sollevazioni popolari, e non per i contrasti con l’amministrazione spagnola.

Lunedì 08 aprile 2002

Il problema dell’immigrazione e delle migrazioni nella costruzione delle identità nazionali dell’America Latina

La formazione degli stati Latino Americani avvenuta all’inizio del ‘800 è accompagnata dal flusso migratorio. Con l’indipendenza si rompe il rapporto tra le corone ed i domini e le nuove nazioni si aprono al flusso migratorio.

L’immigrazione proviene da ogni continente ed ha consistenza variabile nel tempo. Gli immigrati s’inserirono in società che si erano formate dall’interazione tra coloni ed indigeni, e che erano finalmente diventate delle società americane. I ceti sociali che alimentavano l’immigrazione erano fondamentalmente simili: contadini, esuli politici, commercianti; nonostante questo, ebbero un destino diverso, a causa delle politiche migratorie diverse dei singoli paesi americani, e a causa delle politiche economiche differenti nelle diverse neonazioni.

  • 1808 Invasione napoleonica della penisola iberica. Il Re del Portogallo fugge in Brasile, ponendo a Rio la capitale del suo regno. Comincia così l’immigrazione contemporanea in America Latina.
  • 1958 L’ultimo flusso immigratorio verso l’America Latina è stato individuato tra il 1948 ed il 1958. In seguito i regimi militari bloccarono il flusso di persone
  • 1808 – 1840 Periodo d’insurrezioni e indipendenze
  • 1840 – 1860 I diversi stati Latino Americani inseriscono il flusso migratorio, ancora scarso, in un progetto di popolamento del territorio
  • 1860 – 1870 Immigrazione di braccianti (crisi agraria in Europa) che lavorano alle prime ferrovie

In questi ultimi tre periodi l’immigrazione si riversò in modo uguale (dal punto di vista quantitativo) in tutti i paesi Latino Americani. L’immigrazione europea si concentrò soprattutto tra il nord dell’Argentina, l’Uruguay ed il sud del Brasile.

  • 1880 – 1918 L’immigrazione non è più solo rurale, ma urbana. Il settore urbano è in crescita, con l’evoluzione delle infrastrutture e l’afflusso di persone dalle campagne verso le città. Cresce l’industrializzazione e quindi gli scontri sociali.
  • 1929 – 1945 Immigrazione significativa per l’impatto politico e le relazione tra i paesi Latino Americani e l’Europa. I perseguitati politici e gli ebrei fuggono in America Latina. In questo periodo, in concomitanza con la nascita dei nazionalismi latino americani, si cerca di bloccare l’immigrazione d’europei socialisti, comunisti ed anarchici.

Martedì 30 aprile 2002

Le donne emigrate avevano un numero di figli maggiore, a causa dell’alta mortalità infantile e della migliore disponibilità di cibo. Si creava, quindi, il problema della successione della terra ai figli.

La principale differenza tra la colonizzazione tedesca e quella italiana è che i tedeschi arrivarono 50 – 70 anni prima degli italiani.

Le colonie agricole si trasformarono, alla fine dell’800, in colonie urbane, circondate da lotti rurali. Comincia una differenziazione delle attività e nascono le prime attività industriali. Generalmente queste piccole industrie assumono operai della stessa nazionalità. A metà del ‘900 i contadini del Rio do Sul emigrano verso il Paranà per spostarsi ancora più a nord dopo il 1970, quando è lottizzata l’Amazzonia. In seguito il movimento migratorio interno li porterà di nuovo nel Rio Grande do Sul.

Se fino agli anni ’70 il settore trainante era l’agropastorizia del sud, dal 1975 i contadini europei del nord del Rio Grande cominciano un’ascesa sociale e si conquistano un ruolo nella vita pubblica dello stato.

Chiara Vangelista, “Frontiera, immigrazione e cultura nazionale in Brasile tra Otto e Novecento”

Tratto da: “La riscoperta delle Americhe” – Lavoratori e sindacato nell’emigrazione italiana in America Latina 1870 – 1970.

Atti del Convegno storico internazionale promosso dalla Camera del Lavoro Territoriale / Cgil di Brescia – Brescia, 25/26/27 novembre 1992, a cura di Vanni Blengino, Emilio Franzina, Adolfo Pepe.

Questo studio si propone si analizzare le reazioni che gli esponenti della cultura brasiliana ebbero nei confronti dell’immigrazione (e del suo rapporto con la frontiera), e di interpretare la diffusione della cultura nazionale tra la popolazione immigrata, nel periodo storico che va dall’abolizione della schiavitù (1888) al primo dopoguerra. In questo periodo l’immigrazione riguardava soprattutto gli stati di San Paolo, del Rio Grande do Sul e di Santa Catarina, proveniva in maggior parte dall’Europa, dal Vicino Oriente e dal Giappone, ed era impiegata consistentemente nelle piantagioni di caffè, influenzando inevitabilmente la visione della élite (colta) dei fazendeiros.

L’analisi si basa su quattro autori attivi nel periodo compreso tra le due guerre (vedi bibliografia), impegnati in campi d’indagine diversi e con differente credo politico; hanno però in comune il fatto di non interessarsi, nei loro studi, all’immigrazione, considerandolo come un fenomeno di scarso interesse culturale. Questo perché i coloni non erano considerati come elementi di trasformazione della società, ma come elementi dei processi di trasformazione attuati dai latifondisti. I coloni erano considerati dall’élite agraria al pari di schiavi, e vivevano in totale assenza di diritti, tanto che erano venduti da un fazendeiros all’altro, come merce. Dal punto di vista dello sfruttamento e popolamento della terra brasiliana l’immigrato era quindi considerato non un pezzo della nazione, ma un attributo dei luoghi.

I fazendeiros preferivano assumere gruppi famigliari, piuttosto che singoli lavoratori, in modo da controllare meglio gli immigrati, per evitare la fuga e l’ingaggio in altre fazendas, e per assicurarsi un costante livello d’occupazione. Era inoltre vietato stringere legami famigliari con coloni d’altre fazendas, il che assicurava la continuità etnica dei coloni, giacché l’immigrazione nelle fazendas era nazionale o addirittura regionale; quindi, i figli dei coloni parlavano la lingua dei padri e le tradizioni erano mantenute. Questa caratteristica era un’ottima difesa contro l’isolamento della società rurale paulista e contro lo stato d’abbandono cui gli emigrati erano lasciati dai governi della patria d’origine. Il nucleo famigliare era considerato dagli immigrati come una continuazione dell’Italia (nel caso italiano), rendendo vano il processo d’assimilazione.

Nonostante tutte le misure adottate per limitare la mobilità dei coloni, questi mostravano un’elevata propensione allo spostamento, causata dalla possibilità di avere, nelle nuove fazendas di frontiera, più terra disponibile per l’uso famigliare, in quanto i coloni avevano a disposizione una parte di terra delle piantagioni, che coltivavano ad ortaggi per il consumo di sussistenza. A questo fattore si deve aggiungere la caduta del livello di produttività del latifondo ed il richiamo della città, che impedirono ai fazendeiros di attuare il progetto di continuità del livello di manodopera. In questa situazione d’immigrazione interna, il mantenimento della cultura d’origine era più difficile rispetto a quanto avveniva nel latifondo, e gli immigrati assimilarono caratteristiche culturali caipira, e, viceversa, esportarono tratti culturali alla popolazione rurale brasiliana. In questo modo gli immigrati si fondevano alla cultura caipira, sfuggendo al controllo dei fazendeiros e alla documentazione sull’immigrazione.

Mentre nell’ambiente urbano gli immigrati europei portarono un contributo culturale più forte, in ambito rurale il sistema di valori tradizionale non veniva intaccato dai lavoratori europei. Con la disgregazione della famiglia come unità produttiva e l’impiego di squadre di braccianti, erano attenuate le barriere culturali tra gli immigrati ed il mondo caipira, e i lavoratori europei imparavano un portoghese elementare, si adattavano all’agricoltura locale e cercavano nuove forme religiose cui dedicarsi. Così gli emigrati italiani che non si erano stabiliti in città avevano perso la loro italianità. In questo modo, però, persero quei tratti che li avevano resi particolarmente adatti al cafezal, spingendo l’élite latifondista a cercare nuova manodopera, mentre i lavoratori disoccupati emigravano da una fazenda all’altra. In poche parole, la perdita della cultura d’origine negò all’immigrato la possibilità di entrare in via di favore nelle piantagioni, escludendolo definitivamente dalla storia dell’immigrazione.

Bibliografia principale:

  • “A Onda Verde”(1920), Monteiro Lobato
  • “Populações Meridionales do Brasil” (1918) e l’introduzione al censimento del 1920 (1922) di Francisco José de Oliveira Vianna.
  • “Raízes do Brasil” (1936), Sérgio Buarque de Holanda.
  • “Marcha para Oeste” (1940), Cassiano Ricardo.

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