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Storia dell'Africa

Fage – Storia dell’Africa

John D. Fage

Storia dell’Africa

Parte Prima

Lo sviluppo interno della società africana

Capitolo 1

Origini della società africana (le lingue)

L’espansione bantu è iniziata con l’infiltrazione di piccoli gruppi attraverso le foreste del bacino del Congo, con un movimento migratorio lento e graduale. I gruppi che arrivarono ai limiti nord – orientali della foresta si fermarono per non scontrarsi con le popolazioni nilo-sahariane che lì abitavano. I bantu che invece arrivarono al confine meridionale della foresta, trovarono la savana e l’espansione accelerò. Nel nord-est, mentre le popolazioni nilo-sahariane sopravvivevano nelle pianure aride, quelle di lingua cushitica furono spinte verso le zone del Corno d’Africa. Nell’Africa centrale e meridionale le popolazioni antiche erano composte di khoisan, culturalmente più deboli dei bantu. Alcuni khoisan furono assorbiti dai bantu, altri furono spinti nel deserto del Kalahari.

Capitolo 3

Stati e commercio in Sudan

Dal 7° secolo in poi, le fonti d’informazioni che ci giungono sono più consistenti grazie all’estendersi del potere arabo sull’Africa a nord del Sahara e nell’Oceano Indiano occidentale. Importante Ibn Khaldun, grande storico arabo, che scrisse intorno al 14° secolo.

Un’importante informazione è che i territori dell’antico Sudan (da non confondere con quello moderno) non erano solo abitati da tribù ma anche da regni organizzati, con i quali gli arabi avevano rapporti commerciali. Due di questi regni sono importanti: uno, a nord delle valli dell’alto Niger e del Senegal, chiamato Ghana (da non confondere con quello moderno); l’altro a nord e a nord-est del lago Ciad, chiamato Kanem.

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Dagli scritti arabi si sa che tra il 9° e 10° secolo una delle principali attività economiche era, nel regno del Ghana, la raccolta d’oro tra le popolazioni più a sud e lo scambio di questo con sale e manufatti nord – africani da tribù Tuareg del deserto occidentale.

Tra il 1067 e il 1068 al-Bakri, mise insieme un resoconto che ci descrive come il regno fosse governato da un re divino e come il commercio fosse un’attività fiorente. Inoltre vi era un esercito ben organizzato che probabilmente faceva uso della cavalleria.

Nei rapporti degli arabi non è mai detto come questi popoli si procurassero l’oro.

Possiamo supporre che l’oro arrivasse a Jenne e Timbuctù dalla terra dei Lobi, a sud di Jenne. Gli abitanti del Ghana avevano interesse a tenere distanti gli arabi e i commercianti sahariani dalle miniere d’oro.

Le notizie sul regno del Kanem sono giunte agli arabi più tardi, alla fine del nono secolo.

Se la nascita del regno del Kanem è un po’ nebulosa, quella del regno del Ghana è evidentemente di là dall’orizzonte della storia.

Ci sono due importanti Tarikh (cronache) scritte a Timbuctù nel 16° e 17° secolo che sostengono che la dinastia che fondò il Ghana, molto prima del 600 d.C., non fosse nera. Non si sapeva quale fosse la loro origine. Probabilmente Berberi Tuareg velati. Questi Tarikh suppongono che la dinastia originale fu, più tardi, soppiantata da una nera.

La dinastia che regnò in Kanem ininterrottamente dal 10° al 19° secolo, dice d’avere origini da un antenato vissuto nello Yemen. Come possano essere arrivati là non si spiega, ma è una possibilità non esclusa.

Queste origini musulmane sono state probabilmente create per giustificare le dinastie regnanti una volta che l’Islam arrivò in Sudan.

È in ogni modo vero che gruppi di nomadi si avvicinarono ai neri da nord mischiandosi, con il tempo, con gli indigeni. Con il passare degli anni, le differenze tra gli stranieri e i neri erano sempre meno.

È risaputo che sia in Ghana, sia intorno al lago Ciad (Kanem) sia nel Sudan centrale vi siano rovine databili anche (per quello che riguarda il Sudan centrale) fino al 6° secolo a.C.

Un’altra teoria complementare a quella precedente, suppone che gli agricoltori saheliani si raggruppassero in villaggi più grandi e più facilmente difendibili dalle incursioni dei pastori sahariani.

La ricchezza e la comodità delle città, che a poco a poco si venivano a formare, attraeva i pastori che lasciavano il Sahara per emigrare in Sudan. La forma di governo monarchico è più probabilmente originaria degli agricoltori piuttosto che dei pastori, che in ogni caso hanno sicuramente importato elementi caratteristici dei rituali legati alla monarchia, acquisiti dal contatto con popolazioni dell’Africa Nord-orientale e Settentrionale.

Quindi i piccoli gruppi si trasformarono in villaggi, poi in città stato e quindi in regni più vasti che richiedevano un’amministrazione più organizzata.

È importante notare che questi regni (Ghana, Kanem) si trovavano tra le aree più produttive per la loro economia e il deserto: questo indica che i contatti con le popolazioni del Sahara furono fondamentali per la nascita delle monarchie. È anche possibile che questi regni sorgessero in tale posizione per impedire agli stranieri di venire a conoscenza d’altri regni più a sud.

I regni di Ghana e di Kanem giocavano un ruolo fondamentale per il commercio tra il Sudan e l’Africa Settentrionale: in queste zone avvenivano gli scambi tra l’oro (in Ghana) e il sale. Il Kanem non era ricco d’oro e si suppone che si scambiassero schiavi con il sale.

Ruolo importante in questo scambio commerciale lo ebbero le tribù berbere sahariane che conducevano le carovane nel deserto.

Ma il regno del Ghana a poco a poco si estese verso nord sottomettendo alcune tribù berbere. In seguito queste tribù berbere furono convertite all’islamismo e si trasformarono in una federazione militante conosciuta nella storia come la federazione degli Almoravidi.

Dalla metà del 11° secolo gli Almoravidi avevano riconquistato il controllo sulle vie carovaniere e influenzarono le classi dominanti e mercantili al punto che divennero anch’esse musulmane.

Il Ghana fu il primo regno a convertirsi all’Islam; in un primo momento la conversione riguardò solo le classi dominanti e quelle mercantili.

I regnanti accettarono la conversione giacché facilitava i rapporti con le popolazioni del Sahara e dell’Africa Settentrionale e gli permetteva di acquisire una scrittura preziosa per i rapporti diplomatici. Comunque l’accettazione dell’Islam era di solito solo una facciata, poiché avrebbero dovuto rinunciare ai culti pagani che legittimavano la loro sovranità.

Gradualmente i territori settentrionali del regno del Ghana si trasformarono in deserto e le città furono abbandonate. I carovaniere sahariani preferirono così raggiungere l’ansa del Niger piuttosto che attraversare un Sahara occidentale inquieto per arrivare ad un Sudan impoverito. Gli stati vassalli a sud del regno del Ghana riconquistarono l’indipendenza e lo impoverirono ulteriormente.

All’inizio del 1200 i Keita presero la capitale dell’antico Ghana e posero le fondamenta del nuovo impero mande del Mali.

Quest’impero ebbe un gran successo: considerato come continuazione dell’antico impero Ghana, era governato dai mande che avevano un controllo più diretto sulle miniere d’oro. Rapidamente arrivarono a controllare Timbuctù e Gao, i nuovi capolinea della carovane trans – sahariane. Questo regno del Mali quindi si estendeva dall’Atlantico fino ai confini della moderna Nigeria.

All’interno di questo regno la principale via di comunicazione era il fiume Niger. Ma la navigazione del Niger era nelle mani di una popolazione non mande, i Songhai, che nel 1100 d.C. circa occuparono Gao. I mande di Mali riuscirono a sottomettere i Songhai dalla fine del 13° secolo fino agli inizi del 15°. Il controllo sul Songhai consentì al Mali di arrivare fino ai piccoli regni hausa ad est (14° sec.) e di raggiungere il massimo della prosperità.

Nel 15° secolo il Songhai risorse e distrusse il Mali occupandone il posto e, anzi, espandendosi ancora raggiungendo le miniere di sale nel Sahara.

Tuttavia questo regno era meno stabile e duratura di quello del Mali. Nel 1591 i marocchini conquistarono questi territori e arrivarono a Gao e Timbuctù.

Inoltre le vie trans – sahariane si spostarono ancora più ad est raggiungendo il Kanem e l’Hausaland.

Nel Kanem i sovrani furono convertiti all’islamismo all fine dell11° secolo, questo ci dà la misura dell’influenza dei mercanti trans – sahariani.

Alla fine del 16° secolo furono stabilite relazioni con i Turchi ottomani che occupavano Tripoli e l’Egitto; da questo il sovrano del Kanem ottenne armi da fuoco che gli permisero di avere una potenza militare incontrastabile. Però il suo regno fu attaccato da nord dai Tuareg e da sud dalle popolazioni Hausa e si sgretolò.

Capitolo 4

Lo sviluppo degli stati e del commercio in Guinea

Lo sviluppo dell’esteso sistema politico dei Mande non poteva non avere ripercussioni sulle popolazioni nella regione della Guinea.

Quest’influenza non fu mai troppo forte giacché i sovrani contavano sulla cavalleria, per sottomettere gli altri popoli, che era efficace nelle praterie, non nelle boscaglie e tanto meno nelle foreste.

Nelle regioni comprese tra il basso Senegal e la Liberia occidentale vivevano popolazioni che avevano una buona tecnica agricola, pastorizia e manifatturiera, ma che scarseggiavano in commercio sulla lunga distanza, questo probabilmente perché tra loro e le vie trans – sahariane s’interponevano i Mande.

Una di queste popolazioni influirà sull’Africa occidentale: i fulani (o fulbe, o peul).

Questa popolazione aveva tradizioni di pastorizia transumante e si distingueva anche dal punto di vista antropometrico dalle altre popolazioni.

Con il sorgere di regni organizzati alcuni fulani scelsero di far parte della società sedentarizzata e musulmana; altri emigrarono verso est. Questi ultimi arrivarono prima a Timbuctù per poi raggiungere anche l’Hausaland, il Bornu e il Camerun.

I fulani hanno sempre vissuto in simbiosi con le altre popolazioni, mantenendo una propria società. Tuttavia alcuni fulani s’inserirono nelle città probabilmente in qualità d’agenti per i confratelli che vivevano nelle campagne.

I fulani urbanizzati mantennero i rapporti sia con quelli che vivevano nelle campagne sia con i confratelli convertitisi all’Islam. Così quando questi ultimi riorganizzarono la società dell’Africa occidentale trovarono molti consensi in tutto il Sudan, dove i fulani erano sparsi.

Altre conseguenze dell’espansione Mande nel Sudan occidentale furono le migrazioni di profughi di lingua mande, sospinti dai crescenti regni, verso Ovest, nelle terre atlantico-occidentali.

Altri gruppi, mercanti o conquistatori, si spinsero verso ovest e sud, attratti dalle riserve di sale presenti sulla costa. Fondarono regni che rimasero in ogni caso sottomessi al Mali.

Durante la prima metà del 16° secolo, le terre atlantico-occidentali furono invase da est da gruppi di soldati chiamati Mane. Questi erano chiaramente Mande e si sospinsero verso ovest in seguito al crescere del potere Songhai. Gruppi di Mande vivevano in Gambia ed erano a conoscenza dei commerci nell’entroterra della Costa d’Oro, così si suppone che i Mane sapevano di popolazioni mande ad ovest.

L’avanzata dei Mane verso ovest si arrestò quando questi incontrarono, a nord-ovest della Sierra Leone, i Susu, anch’essi mande e anch’essi armati e organizzati militarmente come i mane.

L’influenza dei mande nei territori dell’attuale Costa d’Avorio e del Ghana era di natura commerciale ma ebbe ripercussioni anche politiche.

I prodotti che interessavano i mercanti mande a sud e sud-est erano l’oro, in ogni modo presente anche nelle foreste della Costa d’Avorio e del Ghana, e la noce di cola, che era raccolta nelle foreste che vanno dalla Liberia al Ghana moderno.

I mercanti mande musulmani, i Dyula, furono favoriti dall’esistenza d’insediamenti a sud di Jenne per raggiungere, attraverso vie commerciali, le foreste della Costa d’Avorio e della Liberia orientale. Ma queste terre erano scarsamente abitate e le vie commerciali più redditizie portavano verso le popolazioni di lingua akan, situate nella metà meridionale della repubblica del Ghana.

Sappiamo, tramite i portoghesi, che nel 15° secolo il sale era trasportato dal Sahara a Timbuctù e tramite i cammelli e poi su canoe fino a Jenne. Qui il sale era portato verso sud tramite carovane di portatori che tornavano indietro carichi di polvere d’oro.

La fondazione di regni akan fu sollecitata dai Dyula che incoraggiavano il controllo delle uscite dell’oro dalla foresta. In effetti, gli Akan non vivevano nella foresta ma ai margini di essa e le città erano situate in punti strategici e comprendevano insediamenti Dyula.

La foresta in ogni modo non era disabitata, altrimenti non sarebbe stato possibile estrarre l’oro, o comunque era occupata stagionalmente dai “minatori”.

Con l’arrivo dei portoghesi sulla costa gli Akan furono più interessati al commercio con questi piuttosto che con i Dyula a nord.

All’inizio del 17° secolo nacque lo stato di Gonja, in una zona arda e disabitata, ma importante per i Dyula per controllare le vie commerciali che conducevano alle zone akan ricche d’oro.

I Dyula favorirono la nascita di Gonja giacché nel 16° secolo si vennero a trovare in concorrenza con i mercanti provenienti dall’Hausaland.

I processi di formazione degli stati della metà orientale della Guinea sono visti essenzialmente in termini d’occupazione militare e di motivazione politica, a differenza della Guinea occidentale.

Le conoscenze sull’antico commercio della Guinea orientale sono scarse, ma si suppone fosse considerevole, com’è provato dai reperti artistici rilevati che denotano una ricchezza enorme.

Nel 16° secolo i portoghesi arrivarono sulle coste del moderno Ghana, interessati all’oro. Esistendo già un commercio d’oro, attivato dagli Akan, fu facile per i portoghesi ottenere ciò che volevano. I portoghesi importarono oggetti d’ottone, tessuti yoruba, perline e schiavi.

La Guinea orientale accumulò quindi grandi ricchezze dal commercio.

Capitolo 5

Gli stati e il commercio nell’Africa Nord-orientale e bantu

Sono due i fattori per cui i Bantu si sono insediati nell’area al disotto della linea immaginaria che va dal monte Camerun al confine tra Kenya e Somalia: in primo luogo la forza numerica e culturale delle popolazioni che già abitavano questi territori, inferiore a quella Bantu; in secondo l’ambiente geografico adatto all’agricoltura, indispensabile per l’economia Bantu.

Insediamenti Bantu nel sud dell’Africa risalgono al 1300 circa e possono aver raggiunto il fiume Kei intorno al 16° secolo.

A nord-est, tra il lago Turkana e la Somalia meridionale, c’era terra arida che divideva i Bantu che si erano insediati ad occidente con quelli delle coste. Per avanzare in questa regione i Bantu dovevano competere con le popolazioni che la popolavano, pastori nomadi di lingua “nilo-sahariana” o anche “camitica”.

Per tutto il primo millennio i Bantu avanzarono verso nord, evitando la terra arida che dal lago Turkana va fino alla Tanzania centrale, e assorbendo le popolazioni di pastori o cacciatori – raccoglitori che incontravano. Intorno al 700 d.C. i pastori nilotici si spostarono verso sud fino alla zone ad ovest del lago Turkana, arrivando a conquistare le monarchie Bantu a nord del lago Vittoria. Questo incise sulla società Bantu: la pastorizia prese più importanza e l’abitudine di accentrarsi in villaggi ne perse. Questo avveniva all’inizio del 10° e del 11° secolo.

Ma in tutto questo periodo le coste del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano rimasero aperte all’insediamento e al commercio degli stranieri, arabi prima e cristiani dopo.

Dopo il 7° secolo, i rapporti di quest’area con l’esterno si rivolsero esclusivamente agli arabi musulmani. La nascita dell’Islam troncò i fiorenti rapporti tra i regni cristiani dell’Etiopia e il mondo greco e mediterraneo. Alla fine del tredicesimo secolo gli arabi stavano convertendo le popolazioni sulle coste dell’Eritrea che formavano regni convinti ad espandersi. Però l’Etiopia resistette e i mercanti arabi dovettero passare più a sud.

Nel 1500 circa ci furono dure battaglie tra gli etiopici, aiutati dai portoghesi, e gli arabi, i quali soccombettero. Ma subito l’Etiopia si vide invasa da pastori che sgretolavano l’economia agricola etiopica.

A causa di queste vicissitudini il regno etiopico non riuscì ad influenzare i popoli neri vicini. Le influenze che raggiunsero i popoli della valle del Nilo e dei Grandi Laghi arrivarono più facilmente dai regni Sidama. I sidama erano popolazioni agricole sfuggite all’influenza semitica che risiedevano negli altipiani meridionali. Non furono totalmente islamizzati e contano solo qualche conversione nominale al cristianesimo.

A sud dell’Etiopia, di là dal fiume Omo, sorsero diversi regni sidama, che pur essendo in contatto con i mercanti arabi, sfuggirono alla conversione sia musulmana che cristiana. L’origine di questi regni è oscura fino al 15° secolo.

Sappiamo comunque che nel 17° secolo vi era una ricca agricoltura praticata con strumenti d’antico tipo egiziano ed era praticato l’allevamento. I prodotti erano venduti alle popolazioni nere confinanti in cambio d’oro. Alcune usanze cerimoniali ricordano quelle di certi regni Bantu lacustri. Ma il collegamento tra la pratica di una monarchia divina non può essere accertato come diretto con i popoli egiziani e nubiani.

La posizione geografica che occupavano era strategica: potevano raggiungere, lungo i fiumi, la Nubia, i niloti, le popolazioni del bacino del Turkana e le coste dell’Oceano Indiano. Grazie a questo poterono fare da anello di congiunzione tra il mondo del Mar Rosso e i Niloti. Questo è importante giacché dal 15° secolo in poi alcuni Niloti emigrarono e fondarono regni sia a nord che a sud della loro madrepatria.

Ma le migrazioni dei niloti non furono certo causate unicamente dalle influenze ricevute dai sidama. Potrebbe essere causa della pressione dei galla sul bacino del Turkana, o anche dall’aumento del bestiame, della popolazione e dallo scarseggiare di pascoli.

La prima migrazione importante fu quella dei Luo, originariamente situati tra l’estremità nord del Turkana e le sorgenti del fiume Sobat. Si ebbero due tipi d’insediamenti luo. Uno vide la migrazione di massa di pastori che si mischiarono con le popolazioni dell’Uganda nord – orientale. L’altro vide il sorgere, intorno al 1500, di regni luo vicino alla confluenza tra il Sobat ed il Nilo Bianco.

Un gruppo luo chiamato Bito conquistò alcuni regni bantu a sud. Questi Bito erano pastori che sottomisero gli agricoltori indigeni acquisendo i sistemi politici ed economici dei regni precedenti.

Ad esempio in Rwanda i Tutsi erano il 10% della popolazione e occupavano i posti di governo e d’amministrazione. Avevano un rapporto con la popolazione del tipo signore – servo. La popolazione comune era d’origine bantu, gli Hutu, e si occupava dell’agricoltura.

In Tanzania i bantu hanno monarchie più ridotte piuttosto che a nord. Si presume, quindi, che si fossero spostati qui prima dell’arrivo dei nilotici.

Sicuramente erano troppo lontani perché subissero le influenze delle popolazioni che arrivavano da nord, ma ebbero contatti con altri popoli grazie al commercio sulla costa dell’Oceano Indiano.

La navigazione dell’Oceano Indiano era più facile che sull’Atlantico a causa dei venti. Quindi è possibile che si sviluppasse un commercio da e verso le coste dell’Africa orientale prima che su quelle atlantiche. In effetti, sembra che i greci avessero nozioni sulla geografia delle coste indiane dell’Africa e addirittura della regione dei grandi laghi. Arrivarono almeno fino al Canale del Mozambico, oltre il quale i venti monsonici non soffiano. Ci furono contatti commerciali interessanti sulle coste della Somalia con le popolazioni Sidama. Ma ci sono prove di contatti fino all’isola di Zanzibar. Da qui i commercianti arrivavano poi nell’India occidentale. L’Africa nord – orientale era interessante per i commercianti greci o greco – romani per la presenza di spezie, incenso, gomma, avorio, oro e schiavi. Stabilirono probabilmente anche contatti con il commercio dell’Oceano Indiano perché ci sono prove che i mercanti cinesi erano a conoscenza dell’Africa Orientale.

Ma nel 7° secolo gli arabi si assicurarono il controllo del commercio nel Mar Rosso e nelle coste dell’Egitto, ricostruendo il sistema commerciale nell’Oceano Indiano.

Furono costruite città arabe sulla costa somala e anche sull’isola di Zanzibar. Alla fine del 12° secolo gli interessi dei mercanti arabi si spostarono più a sud. Ci sono prove di una fiorente attività commerciale nel 14° e nel 15° secolo, con ritrovamenti addirittura di porcellane cinesi.

I bantu della costa furono quindi fortemente influenzati dalla presenza degli arabi, in effetti, la lingua qui parlata è bantu con forti influenze arabe. Non ci furono però contatti con le popolazioni dell’interno, a causa dell’impenetrabilità del territorio.

Dall’espansione a sud del sistema commerciale arabo si deduce che l’oro era già estratto in quella che divenne la Rhodesia. Non si può escludere che popolazioni bantu in Zimbabwe abbiano intrapreso l’estrazione dell’oro per conto proprio quando si accorsero delle potenzialità di questo minerale.

Anche se le condizioni erano spesso sfavorevoli alla loro stabilità e crescita, i bantu dell’Africa centrale avevano una nozione di base d’organizzazione monarchica. I bantu che si sparsero verso nord portarono con sé questa nozione. Una volta raggiunto un insediamento favorevole, intorno al lago Vittoria, questi concetti presero forma e le popolazioni nilottiche che conquistarono i bantu più tardi non fecero altro che alimentare e diffondere un concetto locale di monarchia invece di crearne uno nuovo.

Parte Seconda

L’Impatto dell’Islam

Capitolo 6

Il sorgere dell’Islam e l’impero arabo nell’Africa del Nord

L’Islam fu la prima importante influenza esterna sull’Africa. L’influenza degli arabi cominciò con l’invasione dell’Egitto nel 639 e quattro secoli dopo tutta la popolazione a nord del Sahara era musulmana. In seguito l’Islam si diffuse oltre il Sahara penetrando fino alla costa della Nigeria, nell’Uganda, nello Zaire nord – orientale e lungo le coste del Mozambico.

La maggior parte degli africani sono musulmani, mentre il cristianesimo, arrivato con le colonizzazioni europee, rimane una religione di minoranza.

Nel 641 – 642 fu invasa la Nubia ma la sua conquista non fu portata a termine per cause non esplicite, ma in Nubia esistevano delle monarchie cristiane ben più antiche che quelle egiziane. Così invece di continuare a combattersi furono stipulati dei trattati commerciali di scambio di merci. Nel 13° o 14° secolo le monarchie cristiane in Nubia crollarono e tribù arabe s’infiltrarono in quei territori.

Gli arabi si estesero rapidamente in Maghreb ma non riuscirono a sconfiggere la flotta bizantina tra la Cirenaica e la Tunisia finché non svilupparono una loro flotta. Andando oltre incontrarono a meridione i regni numidici e a nord i Berberi. In ogni modo nel 700 circa sconfissero sia numidici che berberi e distrussero anche Cartagine. Quindi procedettero verso Gibilterra e oltre.

I berberi accettarono facilmente la religione musulmana.

Ma alla fine del 8° secolo certe vicissitudine nel comando centrale dell’impero arabo fecero sì che il Maghreb si dissolvesse in un gruppo di stati musulmani indipendenti.

Capitolo 7

Gli stati e gli imperi musulmani dell’Africa del Nord

Verso la fine del 9° secolo, l’Egitto si trovava in una situazione in cui chi lo governava aveva a disposizione le risorse necessarie per mettere in piedi un proprio esercito e rimanere indipendente dal Califfato (Baghdad). L’Egitto, diventato quindi un regno indipendente, aveva le sue ambizioni imperiali che furono sempre rivolte verso est, perché terre strategiche, mentre ad ovest la Cirenaica era in mano a tribù beduine; di là dalla Cirenaica, dove il deserto arrivava fino al mare, c’era Ifriqiya, anch’essa in grado di mantenere un proprio esercito organizzato.

Ifriqiya fu in grado di organizzare un impero ma non poteva espandersi più di tanto siccome a sud le terre sfumavano nel deserto controllato dai pastori berberi e ad ovest erano minacciati da quelli berberi dell’Aures. Questi pastori berberi avevano assimilato l’Islam ma per rafforzare i loro particolarismi locali.

All’inizio dell’8° secolo alcuni missionari kharigiti giunsero nel Maghreb e riuscirono a convertire i berberi che attraversavano il deserto con le carovane. I primi principati di questi missionari, Ibaditi, sorsero attorno ad oasi da cui partivano le carovane dirette verso il Sudan centrale e occidentale, dove stavano nascendo i regni del Ghana e del Kanem.

All’inizio del 10° secolo emissari sciiti arrivarono nel Maghreb dallo Yemen e riuscirono facilmente a convertire i berberi e le popolazioni agricole d’Ifriqiya. I berberi erano stufi di resistere alle pretese del governo d’Ifriqiya su di loro, mentre le popolazioni agricole erano stufe del sistema di tasse imposto.

Presto questo nuovo regno divenne potente e conquistò prima le tribù berbere ad ovest e successivamente l’Egitto, dove fu fondata la città d’al-Kahira, oggi Il Cairo.

Con la conquista dell’Egitto, l’espansione araba in Africa fu ripercorsa all’indietro, ma i Fatimidi non riuscirono ad andare oltre perché non furono accettati dalle popolazioni orientali. All’inizio dell’11° secolo vi furono dei disordini in Egitto causati da una carestia e l’ordine fu riportato solo grazie all’intervento della guarnigione siriana: così i fatimidi erano sovrani in Egitto solo di nome, giacché erano i siriani a governare.

A questo punto l’Islam doveva combattere per la sua sopravvivenza contro le crociate occidentali e in seguito, nel 13° secolo, contro i mongoli che arrivavano da est.

In questo periodo l’Egitto divenne cruciale per gli arabi per l’accesso in Africa, ma la sua storia divenne più importante per il Medio Oriente che per l’Africa. Nel 13° secolo l’Egitto divenne la porta indispensabile per gli europei che volevano commerciare con l’Asia.

In questo secolo l’esercito di Mammelucchi divenne la forza strategica dell’Egitto. In effetti, dopo il 1250 furono proprio questi ad assumere il potere.

Ma nel 1498 Vasco de Gama circumnavigò l’Africa per raggiungere l’Asia e la risorsa principale dell’Egitto, il commercio di prodotti asiatici con l’Europa, venne meno.

Intorno all’anno 1000 il Maghreb era stato lasciato solo a se stesso. Così alcune famiglie berberi fondarono regni indipendenti.

Così i Fatimidi cominciarono ad inviare orde di beduini verso il Maghreb per sottomettere i berberi.

I beduini distrussero tutto ciò che i berberi avevano costruito, riducendo il Maghreb in miseria.

Prima dell’arrivo dei beduini la società maghrebina era composta di una classe alta, gli arabi che parlavano arabo, ed una bassa, i berberi che continuavano a parlare i loro dialetti. Con l’arrivo dei beduini arabi, i berberi furono assorbiti dalla loro cultura tranne poche tribù tra cui i Tuareg del Sahara centrale.

Ma i beduini non arrivarono in Marocco prima della fine del 12° secolo. Qui due movimenti tribali tenevano in vita gli antichi ideali di un impero islamico universale.

Uno di questi movimenti era quello degli Almoravidi che alla fine dell’11° secolo governavano tutto il Marocco. Presto occuparono anche i territori arabi in Spagna, regnando su un impero grande come quello dei fatimidi ad est ed ancora più potente.

All’inizio del 12° secolo sorse un movimento contro gli Almoravidi chiamato Sufismo.

Il Sufismo era una reazione alla secolarizzazione dell’Islam. Dall’11° secolo in poi il Sufismo cominciò a guadagnare terreno e si svilupparono i tariqa, confraternite di religiosi.

I Berberi vedevano di buon occhio il Sufismo poiché ben si amalgamava con le tradizioni tribali. Quindi presto divenne una giustificazione religiosa alla guerra contro gli Almoravidi.

Nella prima metà del 12° secolo i sufisti, Almhoadi, regnavano in Marocco. In pochi ani si rivolsero verso est e controllarono tutto il Maghreb e la Spagna musulmana.

In poco tempo, grazie ad una buona gestione dei governanti, il commercio fiorì in tutto il Maghreb che attrasse mercanti anche dall’Europa (Spagna, Genova, Pisa e Marsiglia). Inoltre fiorirono la filosofia, la letteratura e le arti.

Nel 13° secolo gli Almhoadi furono scacciati dalla Spagna e persero potere perdendosi in lotte intestine per l’elezione del Califfo. Fino al 15° secolo tutto il Maghreb era diviso in regni tra i quali spiccava quello di Tunisi. Il Marocco era diventato una base strategica per il controllo del Mediterraneo occidentale ed i re Portoghesi e Spagnoli cominciarono ad interessarsene. Nel 16° secolo ci furono però dei negoziati tra il Marocco e la Spagna. Inoltre furono stabiliti degli accordi commerciali con l’Inghilterra. In questo periodo il Marocco era proiettato più verso l’Europa che verso l’Africa.

Ma alla fine del 16° secolo fu inviato un esercito alla conquista dell’impero Songhai di Gao in Sudan, per controllare il commercio d’oro attraverso il Sahara, merce indispensabile per i commerci con l’Europa. Occuparono Timbuctù e Jenne e attinsero facilmente alle riserve d’oro da inviare in Marocco.

Ma presto avvenne un declino del flusso commerciale e i Tuareg interruppero le vie carovaniere attraverso il Sahara che raggiungevano il Sudan.

All’inizio del 17° secolo in Marocco fu deciso che mantenere la dominazione in Sudan era più costoso di quanto non fosse remunerativo e lasciarono quei territori a se stessi, i quali furono presto invasi dai Tuareg o sottomessi ai regni circostanti.

Nel 18° secolo le vie commerciali più importanti portavano dalla Tunisia all’Hausaland e al lago Ciad. Questi regni cominciarono a prosperare proprio dopo la conquista marocchina nel Sudan occidentale che indebolì il regno Songhai ma anche lo stesso Marocco.

Varie vicissitudini fecero sì che nel 17° secolo le attività più importanti nell’Africa nord occidentale erano costituite dalle razzie corsare. Tra la fine del 18° secolo e l’inizio del 19°, gli europei pensarono che fosse meglio non lasciare che nell’Africa settentrionale mancasse l’ordine nei governi e che sarebbe stato più sicuro per i loro commerci controllare essi stessi gli affari nordafricani.

Capitolo 8

L’espansione dell’Islam nell’Africa Occidentale

Quando le città fulcro del commercio in Sudan rimasero nelle mani dei marocchini, nel 17° secolo, quest’importante attività s’indebolì notevolmente.

Ma non è vero che il commercio e l’Islam in Sudan potessero fiorire solo sotto la protezione d’importanti imperi. In effetti, gli Hausa avevano costruito un sistema commerciale capace di competere con quello Mande pur essendo divisi in piccole unità politiche. Inoltre i re del Sudan si erano islamizzati ma i principi del loro potere regale rimanevano pagani.

Il crollo del potere Songhai fu determinato dall’interruzione dei commerci a causa dell’occupazione marocchina nei punti cruciali alle vie mercantili.

Chi fu avvantaggiato dal crollo dell’impero mande – songhai furono i berberi del Sahara, che poterono così trarre profitto dalle terre coltivate nel nord del Sudan e dalle vie commerciali che attraversavano il Sahara arrivando nel Sudan orientale.

Nel 18° e nel 19° secolo i Fulani avevano una classe d’ecclesiastici musulmani altamente sviluppata e che divenne particolarmente esperta nel cogliere il momento in cui le circostanze per la jihad (guerra di religione) si applicavano alla loro situazione.

I Fulani erano sparsi per tutto il Sudan occidentale e centrale e pascolavano le loro bestie tra le terre degli agricoltori residenti. Così i sovrani delle comunità stabili imposero tributi ai Fulani i quali però non avevano i diritti degli altri sudditi, come quello di eleggere il sovrano.

Alcuni fulani si stabilirono nelle città dove vivevano da stranieri, cos’ come altri gruppi di mercanti musulmani. Fu così che i fulani furono attratti dall’Islam, con il quale avevano una remota parentela. Inoltre l’Islam, al contrario dei culti tradizionali pagani, non era etnocentrico.

Con il declino dell’influenza mande i fulani si unirono ai tuareg nella leadership della dottrina musulmana nel Sudan. All’inizio del 19° secolo nell’odierna Nigeria settentrionale fu creato dai fulani un impero musulmano enorme e dotato di personaggi molto colti: il Gobir.

All’inizio del 19° secolo nel Gobir vi furono aspre lotte tra Fulani, Hausa, Tuareg e i pastori musulmani del Gobir: i Torodbe. I torodbe si divisero in due fazioni una delle quali aveva come alleati gli Hausa che non amavano l’altra fazione la quale si alleò con i Tuareg che vedevano nei Fulani dei concorrenti. Ma gli Hausa dovettero pagare caro le guerre e si staccarono dal movimento. I soldati Fulani poterono controllare le terre in questione solo verso gli anni Trenta del 19° secolo quando i Tuareg non rappresentavano più un pericolo.

Parallelamente a nord di Timbuctù succedevano cose analoghe con i mande al posto degli hausa.

Ma nel 1879 i francesi avanzavano e si tentava di ricostruire un nuovo impero mande.

Parte Terza

L’Africa nell’epoca dell’espansione europea

Capitolo 9

Gli inizi delle operazioni europee in Africa

Nel 1415 i Portoghesi Ceuta ai marocchini e successivamente costituirono una serie di fortezze sull’Oceano Atlantico e Indiano. Da queste postazioni, nel 19° secolo, gli Europei cominciarono ad avanzare in tutto il continente africano.

L’espansione dell’Islam nel Mediterraneo costituì per l’Europa meridionale un’importante sfida (vedi Crociate) ma aprì anche nuove porte al commercio e agli scambi culturali, soprattutto con le città stato italiane.

Nel 14° secolo gli imprenditori navali italiani trasportavano i crociati nel Levante e piazzavano agenti commerciali nei principali porti del Vicino Oriente scambiando legname da costruzione, utensili di metallo e schiavi con i prodotti di lusso che i mercanti musulmani fornivano (spezie, profumi, droghe, tessuti, pietre preziose ecc…).

Quando i Veneziani monopolizzarono il commercio con i musulmani del Vicino Oriente, i Genovesi si domandarono se non era possibile procurarsi le stesse merci direttamente dalle fonti d’approvvigionamento, fuori dal controllo dei mercanti musulmani.

Gli europei sapevano che in Etiopia vi era una monarchia cristiana, ma i collegamenti con questa erano difficili perché poteva essere raggiunta solo dal Medio Oriente e i mussulmani ostacolavano i rapporti.

I mercanti delle città rivali di Venezia, la quale era ovviamente rivolta verso est, organizzarono spedizioni nel Sahara e vennero a conoscenza del commercio trans – sahariano.

Alla fine del 13° secolo ci fu una spedizione genovese che aveva l’intento di circumnavigare l’Africa: non si sa se sia mai riuscita nel suo intento, ma di sicuro si resero conto che le galere impiegate per navigare nel mediterraneo non erano adatte per la navigazione negli oceani.

All’inizio del 13° secolo gli iberici, che avevano già avuto esperienza sia nella lotta contro i musulmani che nella navigazione nell’oceano, si spinsero a sud fino a raggiungere il Marocco meridionale.

I portoghesi furono i primi a rendersi conto delle potenzialità che poteva offrire l’unione delle loro tecniche con i capitali e le capacità commerciali dei genovesi.

La conquista di Ceuta mise i portoghesi nelle condizioni di avere più conoscenze sul commercio trans – sahariano e sulle terre al di là del Sahara di quanto non ne avessero le altre popolazioni europee.

Lo scopo dei portoghesi era di raggiungere i commerci asiatici raggirando i mercanti mussulmani. Procedettero per stadi e nel 1460 erano arrivati nella Sierra Leone e avevano acquisito buone conoscenze geografiche ma anche sulle popolazioni che popolavano quelle terre.

Cominciarono i commerci d’oro e schiavi, con i quali potevano essere messe a frutto le terre del Marocco meridionale e delle isole atlantiche.

Nel 1471 arrivarono nella Costa d’Oro, la costa del moderno Ghana, dove era evidente il commercio d’oro dell’entroterra; in questo modo i portoghesi si assicurarono 1/10 della produzione d’oro dell’epoca.

I portoghesi costruirono della basi lungo la costa per tenere sotto controllo il commercio e poter avanzare sempre di più; nel 1488 veniva doppiata l’estremità meridionale dell’Africa.

A questo punto ci fu una pausa: i portoghesi dovevano studiare il tipo di navigazione e di commercio in uso nell’Oceano Indiano prima di farsi avanti.

Un viaggiatore portoghese inviato dalla Corona raggiunse l’Etiopia e fu ben accolto, ma gli fu vietato di tornare in patria, e fu costretto a vivere lì fino alla sua morte, trent’anni dopo.

Nel 1497 Vasco Da Gama compì il suo viaggio d’andata e ritorno dalle Indie.

All’inizio del 16° secolo i portoghesi posero le basi del loro dominio sull’Oceano Indiano.

Ma alla fine del 16° secolo gli olandesi, appena ottenuta l’indipendenza dalla Spagna, si fecero avanti sulle rotte atlantiche che portavano all’Oceano Indiano.

Proprio in questo secolo il Portogallo cominciò ad accusare il fatto di essere una nazione piccola e divenne sempre più difficile controllare tutto il vasto impero che era stato costruito.

Nella prima metà del 16° secolo i Portoghesi riuscirono a stabilire dei contatti con la monarchia in Etiopia, ma presto questi rapporti vennero meno a causa della reazione nazionale in seguito all’interferenza dei missionari occidentali nella Chiesa locale. Così nel 1650 circa l’Etiopia interruppe i rapporti con il Portogallo e l’Islam avanzante ridusse notevolmente l’autorità della monarchia etiopica in quei territori.

I mercanti musulmani erano più abili dei portoghesi a commerciare con i bantu dell’interno ed evitarono per quanto possibile di far arrivare l’oro ai portoghesi che ne ricevettero in misura insufficiente a pagare le spedizioni e il personale delle basi africane. Così i portoghesi entrarono nell’interno ma ottennero scarsi successi, essendo sconfitti in battaglia, più che altro dalle malattie.

Negli anni ’40 del 17° secolo però i portoghesi fecero degli accordi con Mwene Mutapa ma, oltre ad ottenere commerci scarsi d’oro, furono nuovamente cacciati alla fine del secolo.

Sul versante occidentale gli interessi dei portoghesi erano concentrati sulla Costa d’Oro dove furono stretti forti rapporti con i regni locali. Furono costruiti forti sulle coste dei regni ed erano pagati tributi ai re locali.

Lo scopo dei forti era di controllare che nessun’altra potenza europea interferisse sul commercio. I portoghesi non entrarono nell’entroterra, dove sorgevano le città (ben poca popolazione abitava la costa), poiché il sistema commerciale già esisteva e non aveva bisogno del loro intervento. I governatori dei forti erano riconosciuti spesso come autorità locali: in effetti, i portoghesi avevano sicuramente un’autorità politica e militare sulle zone. In ogni modo, gli africani potevano in qualsiasi momento sbarazzarsi dei portoghesi, impedendo loro l’accesso all’acqua o ai viveri, oppure con vere e proprie battaglie in cui non potevano che vincere, essendo numericamente maggiori.

I portoghesi acquistavano l’oro dagli africani in cambio di merci che erano prelevate sempre in Africa. Nell’Africa nord – occidentale erano presi i tessuti e ad est della Costa d’Oro gli schiavi: queste merci erano quindi trasportate nei punti dove avveniva il commercio dell’oro e scambiate con questo. La principale fonte di rifornimento di tessuti e schiavi era il Benin, che aveva rapporti commerciali ben organizzati con altri regni dell’interno. All’inizio del 16° secolo, però, i portoghesi interruppero i rapporti col regno del Benin perché questo trattava solo alle sue condizioni e il mercato non rendeva come sperato.

Così le basi principali del commercio nel Golfo di Guinea divennero le isole, in particolare São Thomé.

In seguito il Benin prese contatto nuovamente con i portoghesi ma perché voleva armi da fuoco, che i portoghesi vendevano solo ai regni cristiani loro alleati; in seguito a questo il Benin interruppe i rapporti con l’Europa per quasi due secoli.

I portoghesi colonizzarono le isole del Golfo di Guinea, che erano disabitate, e vi coltivarono piante tropicali per venderle in Europa. Inizialmente vennero richiesi molti schiavi per coltivare queste terre. Presto questo commercio calò e tutto si spostò in Brasile. Così gli schiavi erano trasportati dall’Africa in Brasile, dove erano coltivate piante tropicali da vendere in Europa.

Alla fine del 15° secolo i portoghesi stabilirono forti relazioni anche con il regno del Kongo, a sud del basso Congo, procedendo ad una pacifica cristianizzazione con l’intento di stringere rapporti che potessero portarli a Mwene Mutapa e all’Etiopia.

Presto però i coloni delle isole del Golfo interferirono con i progetti della Corona commerciando in Kongo schiavi e convincendo il re a cominciare una guerra con il vicino regno di Ndongo, che portò alla disfatta dello stato del Kongo e della causa ufficiale portoghese in quei territori.

Alla fine del 17° secolo i portoghesi attuarono una politica di conquista nei territori dell’attuale Angola e fondarono tre città, due sulla costa e una all’interno, che formavano un cuneo che penetrava nell’Africa centro-occidentale, da dove partivano migliaia di schiavi diretti in Brasile.

Nei territori dell’Alto Guinea i commerci tra portoghesi e africani non furono granché intensi, in parte perché il regno mande era in declino, in parte perché le coste erano impenetrabili a causa della foresta. Qui si stabilirono alcuni uomini delle isole del Golfo che divennero parte della società africana, più che rappresentanti della Corona portoghese, ed erano motivati da interessi locali, come dimostrano i rapporti con il commerciante di schiavi inglese John Hawkins.

L’influenza portoghese sull’Africa non è stata di certo imponente: essi ignorarono interi tratti di costa e dove ebbero più successo, sulla Costa d’Oro, non fecero altro che sfruttare il sistema commerciale già esistente, senza dover interferire su questo in nessun modo; in effetti, il commercio Sudanese continuò a rivolgersi più che altro all’interno, e i mercanti non fecero altro che aumentare la produzione per soddisfare anche i bisogni dei portoghesi. Quindi questi commerci furono sviluppati dagli africani a vantaggio sia loro che degli europei.

L’importanza dell’espansione portoghese in Africa consiste nel fatto che dimostrarono al resto d’Europa quanto fosse redditizio il commercio in questo continente, soprattutto perché poteva fornire schiavi necessari allo sfruttamento delle Americhe.

Capitolo 10

La prima fase dell’impatto del commercio mondiale sull’Africa tropicale: la tratta degli schiavi

All’inizio del 17° secolo gli Olandesi distrussero le flotte portoghesi nell’Oceano Indiano e a metà del secolo s’impadronirono degli stabilimenti di questi sulla costa occidentale dell’Africa.

Come indicano i loro nomi, la “Compagnia Olandese Delle Indie Orientali” e la “Compagnia Olandese Delle Indie Occidentali”, gli olandesi non erano direttamente interessati all’Africa ma in ogni modo fondarono delle basi (Capo di Buona Speranza) che servirono ai colonizzatori europei per penetrare, più tardi, in tutto il continente africano.

Gli olandesi avevano delle tecniche di navigazione migliori di quelle portoghesi ed erano sufficienti due sole basi per raggiungere l’India: una a Città del Capo ed una a Giacarta. Così le basi stabilite dai portoghesi divennero totalmente inutili per le iniziative europee in quell’oceano.

La Francia e l’Inghilterra stabilirono delle basi sulle isole di Madagascar, Mauritius, Mascarene e Comore per raggiungere il subcontinente indiano. In ogni caso la costa africana fu ignorata e le basi portoghesi situate in Africa sull’oceano Indiano avevano ben poca utilità.

Il declino dei portoghesi rese possibile un risveglio del commercio dei musulmani sulle coste dell’Africa orientale: gli arabi spinsero i portoghesi più a sud e ripresero il mercato tra l’Africa orientale, il Golfo Persico e l’India nord – occidentale.

Per tutto il 17° secolo fino a metà del 18°, gli interessi europei sull’Africa occidentale, dal Senegal fino al Congo, fu subordinata alla richiesta di manodopera di schiavi nelle Americhe, dove erano prodotte le merci per il mercato dell’Europa occidentale.

I regni del Golfo di Guinea si rinforzarono in conseguenza a questo commercio e il dominio europeo sull’Africa non arrivò finché non venne interrotta l’esportazione di schiavi.

Nel 17° secolo gli olandesi strapparono le fortezze portoghesi sulla Costa d’Oro, mentre più a sud il potere portoghese rimaneva inalterato. Gli olandesi imbarcavano schiavi in Africa occidentale per venderli agli inglesi e ai francesi nelle Americhe. Ma gli inglesi ed i francesi non erano disposti a dipendere dagli olandesi e presto gli fecero concorrenza, debellandoli. Dopo la disfatta degli olandesi si rifecero avanti i portoghesi e altre nazioni europee.

Le coste dal Senegal alla Liberia furono dominate sia dai francesi che dagli inglesi, ma anche dai portoghesi che avevano mantenuto dei forti in quella zona. Sulla Costa d’Oro la disputa fra le varie nazioni europee fu più aspra ma alla fine prevalsero gli inglesi e gli olandesi. Questi ultimi. Pur essendo in superiorità numerica, furono sopraffatti, soprattutto perché gli inglesi diedero il commercio africano in mano a singoli mercanti, mentre gli olandesi si affidavano sempre al monopolio della Compagnia delle Indie Occidentali.

Sulla Costa degli Schiavi il mercato era governato dai re africani invece che dagli europei, come accadeva sulla Costa d’Oro. I re africani avevano le loro sedi non sulla costa, e pretesero che gli europei facessero altrettanto, per poterli meglio controllare. Così il mercato di schiavi in Africa Occidentale fu aperto a chiunque fosse disposto a riconoscere la sovranità africana e a pagare i dovuti tributi.

La sempre più crescente richiesta di schiavi mise gli europei nella condizione di dover scambiare merce europea con i regni africani per poterli ottenere, e di dover importare sempre più oro dalla Costa d’Oro per far fronte alle spese di questo commercio che cresceva a dismisura. Così gli europei compravano sempre più schiavi dagli africani per portarli a lavorare nelle Americhe, dove producevano beni che erano importati in Europa e quindi in gran parte rivenduti agli africani per pagare gli schiavi.

Alla fine degli anni ’60 del 19° secolo fu abolita la schiavitù nelle Americhe, passo che portò alla fine del commercio atlantico.

Le cifre parlano di 11.500.000 persone partite dall’Africa per le Americhe, di cui 9.500.000 arrivarono a destinazione (dal 1451 al 1867).

Ma quella atlantica non era l’unica tratta degli schiavi. Per secoli gli schiavi neri furono deportati verso nord, attraverso il Sahara, lungo il Nilo e anche attraverso il Mar Rosso e l’Oceano Indiano. Tuttavia queste furono tratte minori rispetto a quella atlantica.

Di queste tratte la più importante era certamente quella trans – sahariana, che avrebbe portato in giro per l’Africa lo stesso numero di schiavi di quelle atlantica, ma in un lasso di tempo molto maggiore (si pensa già dal 9° secolo), con conseguenze sulle etnie e sulle popolazioni inferiori.

Dal Mar Rosso e dall’oceano Indiano partivano schiavi diretti in Asia e in India, ma in numero minore rispetto alle altre tratte e in un periodo relativamente breve. Alla fine del 19° secolo gli europei, ormai contrari al commercio d’uomini, presero misure sempre più efficaci contro questo mercato.

La deportazione di una parte della popolazione in altre parti del mondo, oltre alle perdite indirette di vite umane prodotte dallo schiavismo, pose un grosso limite all’incremento demografico. Inoltre fu essenzialmente tramite la tratta degli schiavi che la società sub-sahariana entrò in contatto con il mondo moderno. In terzo luogo, l’effetto congiunto di questa migrazione forzata e il nuovo contatto con il mondo esterno fornì un importante stimolo al cambiamento dell’Africa Nera.

Capitolo 11

L’Africa Occidentale durante la tratta degli schiavi

Nel 18° secolo la conseguenza più negativa della perdita di popolazione dovuta direttamente all’esportazione di schiavi, potrebbe essere quella di aver arrestato la crescita demografica in tutta l’area. In altri periodi il suo effetto sarebbe stato quasi trascurabile.

Le persone che erano deportate erano generalmente uomini, in età, presumibilmente, tra i 12 e i 35 anni. Erano quindi le persone più produttive per l’economia del posto. È anche evidente che la deportazione di schiavi non era distribuita in modo uniforme su tutta l’estensione della costa e, quindi, che alcune parti dell’Africa Occidentale possono essere state interessate più gravemente al fenomeno.

Le zone più interessate a questo fenomeno furono quelle ad est della Costa d’Oro, dove la densità di popolazione era notevolmente superiore a quella delle zone circostanti. Inoltre i popoli che vivevano nel Basso Guinea avevano sviluppato dei sistemi politici ed economici più complicati che nell’Alto Guinea.

Le comunità dell’Africa Occidentale vendevano schiavi per l’esportazione nella misura in cui erano in grado di farlo senza danneggiare seriamente le proprie popolazioni, economie e possibilità di sviluppo.

Nel 18° secolo difficilmente gli europei si procuravano gli schiavi per conto loro, era più probabile che li comprassero dai sovrani africani che li scambiavano con merci europee (tessuti, metalli, ferramenta, armi da fuoco).

Una parte degli schiavi erano originari delle comunità stesse che li vendevano agli europei. Si trattava solitamente di persone che avevano commesso dei crimini, che già avevano lo status sociale di schiavo, stregoni, debitori o persone con difetti fisici o mentali.

Inizialmente, nel 19° secolo, gli europei che sostenevano l’abolizione dello schiavismo affermavano che la tratta degli schiavi era la causa delle guerre tra gli africani. Quindi la sospensione della tratta atlantica avrebbe giovato sulle società africane che si sarebbero potute concentrare su obiettivi più pacifici e produttivi. Poi, quando la soppressione della tratta atlantica non provocò apparentemente la diminuzione della schiavitù in Africa, né delle scorrerie né delle guerre, tale fatto fu usato come argomento per giustificare la conquista europea e il dominio coloniale.

L’Africa Occidentale era scarsamente popolata in confronto alle risorse economiche che possedeva. Per questo era necessario l’arruolamento coatto della forza-lavoro. Ma nel sistema africano gli schiavi erano considerati membri della famiglia che li acquisiva e col tempo avevano la possibilità di venirne a far parte a tutti gli effetti. Spesso erano addirittura investiti di cariche politiche importanti, come ad esempio ambasciatori o rappresentanti del re in altri territori, poiché il loro status e la loro origine di schiavi faceva sì che la loro autorità fosse unicamente un riflesso dell’autorità del loro padrone, cosicché, in teoria, non erano in grado di usurparla.

Quindi l’importanza degli schiavi consisteva nel fatto che erano mezzi grazie ai quali potevano essere create unità di produzione più ampie e più efficaci di quelle che derivavano semplicemente dai legami di parentela. Questo creava un surplus di produzione che attirava i mercati stranieri, fenomeno che si sviluppò in Sudan con lo sviluppo del mercato trans – sahariano, e in Guinea con l’estendersi del commercio a lunga distanza.

Gli schiavi non erano tenuti in considerazione come merci di scambio, ma come una risorsa che andava accumulata affinché producesse merci per l’esportazione. Perciò la ragione principale delle guerre e delle scorrerie in Africa era di garantire quantità adeguata di questa ricchezza e di ridurne la disponibilità per i concorrenti.

Così, come gli stati europei misuravano la propria ricchezza in lingotti d’oro e d’argento, gli stati africani la misuravano in risorse di manodopera (schiavi).

Sulla costa della Guinea, quando aumentò la richiesta di schiavi da parte degli stati europei, le classi dominanti africane si organizzarono per esportare schiavi con il massimo tornaconto, scambiandoli con merci europee che ritenevano importanti per la loro economia.

Così molti villaggi della costa tra il Benin ed il Camerun, si trasformarono da villaggi poveri di pescatori a ricchi luoghi di commercio, che fornivano la maggior parte degli schiavi che servivano agli europei.

L’aumento del commercio europeo di sciavi sulle coste della Guinea favorì un incremento dell’economia locale, coinvolgendo più persone e aumentano le importazioni di merci europee, in particolari semilavorati in ferro e tessuti.

L’aumento considerevole della tratta degli schiavi nel 18° secolo stimolò notevolmente le economie locali, che progredirono fino a sviluppare sistemi monetari del tutto simili a quelli europei, con tanto di tassi di scambio stabiliti con le altre monete, comprese quelle europee.

Nacque così una nuova cerchia sociale d’uomini indigeni che emersero grazie alla loro abilità nello sfruttare questo commercio. Questi uomini spesso accumulavano tali ricchezze che gli davano il potere di competere con le autorità locali, creando dissidi che spesso sfociavano nell’anarchia, non potendo più garantire la sicurezza dei mercanti che trasportavano merci verso la costa.

Nell’interno invece alcuni principi seppero sfruttare a loro vantaggio la situazione accumulando più ricchezze e aumentando il loro potere monarchico.

Non mancarono ovviamente guerre tra i regni interessati al commercio di schiavi per assicurarsi il controllo del mercato, ma anche dissidi interni ai regni causati, come già detto, da “nuovi ricchi” che competevano in potere con i regnanti, e da liti per le successioni al trono dei membri delle famiglie reali

Un simbolo del potere divennero così le armi da fuoco e soltanto dei grandi re potevano permettersi di averne in quantità e di fornirle ai propri seguaci. Per quanto sempre secondario rispetto al bisogno di ottenere e di disporre di molta gente, il controllo sull’acquisto e la distribuzione d’armi da fuoco divenne un elemento importante del processo grazie al quale il potere delle nuove monarchie si estese, a danno dei gruppi sociali tradizionali.

Capitolo 13

L’espansione del potere europeo durante il 19° secolo

1 – Considerazione generali, l’Africa Occidentale

Non è chiaro il motivo per cui gli stati europei s’interessarono così attivamente all’Africa dall’ultimo quarto del 19° secolo. Probabilmente la spiegazione va ricercata nei conflitti intra-europei che si sfogarono attivamente sull’Africa: in pratica queste regioni non europee furono usate come terreni di contrattazione.

Un’altra ipotesi è che, essendo l’Inghilterra la nazione più potente di allora in Europa, ed avendo esse possedimenti oltreoceano, diventò indispensabile per le altre nazioni avere possedimenti imperiali per competere. In realtà fu proprio la supremazia dell’Inghilterra a portarla ad avere possedimenti oltremanica.

Un’interpretazione convincente sostiene che soltanto trovando nuovi mercati e nuove riserve di materiali grezzi a basso costo al di fuori del continente, l’impeto dello sviluppo industriale e commerciale dei paesi ricchi dell’Europa Occidentale poteva essere mantenuto e, naturalmente, il sistema capitalistico poteva essere salvato dalla rovina.

Ma è anche vero che gli investimenti europei in Africa erano piuttosto ridotti, perché gli europei preferivano investire nelle parti del mondo più sviluppate, perché lo ritenevano più sicuro e redditizio.

D’altra parte le conoscenze dell’Africa erano inesatte e, mentre si pensava che questa potesse offrire buoni mercati per l’Europa, non era veramente interessata al commercio europeo.

Nel corso del 19° secolo il commercio europeo si era concentrato sulle produzioni agricole della Guinea (oli vegetali e semi oleosi). Ma presto il prezzo di queste merci calò drasticamente e si ritenne che soltanto eliminando i mercanti locali che facevano da intermediari e sviluppando sistemi di trasporto occidentali (ferrovie) questo mercato avrebbe dato i suoi frutti. Naturalmente questo progetto non poteva essere realizzato finché non ci fosse stato un dominio politico europeo su quelle aree.

Gli europei acquisirono interessi in due aree chiave: l’Egitto, dopo l’apertura del canale di Suez, e il Sud Africa, dopo la scoperta dei giacimenti di diamanti e d’oro. Queste zone erano sotto il controllo dell’Inghilterra e in breve la Francia e la Germania si diedero da fare in Africa come reazione alla supremazia inglese.

Un altro fattore che giustificò l’avanzata europea in Africa fu la convinzione dei missionari cristiani, che intendevano convertire la popolazioni indigene.

Nell’Africa Occidentale gli interessi europei, alla fine del 18° secolo, erano cospicui grazie a quattro secoli di rapporti commerciali, nonostante l’abolizione della schiavitù e la messa al bando della tratta degli schiavi che era stato l’elemento fondamentale del loro commercio.

Gli schiavi non erano l’unica merce che gli europei acquistavano in Africa, erano, in effetti, disposti ad acquistare qualsiasi merce per la quale intravedevano un mercato redditizio (oro, avorio, legname, gomma, oli vegetali). Inoltre le tratta fu abolita gradualmente, in circa settant’anni, a cominciare dalle nazioni nord europee per finire con quelle più conservatrici, Spagna e Portogallo, che avevano possedimenti in America che richiedevano un gran numero di Schiavi.

Così, sparendo il commercio d’uomini che rendeva molto sia agli africani che agli europei, molte nazioni occidentali si ritirarono dall’Africa (Danimarca, Olanda, Portogallo). Ma la Francia e l’Inghilterra avevano interessi commerciali con l’Africa Occidentale tanto forti, sia da un punto di vista morale che finanziario, che la possibilità di un loro ritiro non fu mai in discussione.

L’Inghilterra controllava per due terzi il trasporto di schiavi nelle Americhe e quando questo venne meno fu necessario trovare merci alternative da esportare dall’Africa per rimpiazzare l’enorme risorsa che era venuta meno. L’interesse francese non può essere dimostrato con altrettanta sicurezza in termini economici. Ma il fatto che l’Inghilterra prevalesse in Africa spingeva i francesi a ristabilire i vecchi interessi commerciali in Africa Occidentale.

Gli europei erano capaci di adattarsi rapidamente ai nuovi mercati e alle nuove economie, cosa che gli africani non erano in grado di fare, perché il potere dei sovrani dipendeva troppo dal mercato degli schiavi e non erano disposti a rinunciarvi. Non furono così in grado di adattarsi alle nuove richieste dell’Europa che faceva sempre più affidamento su singole iniziative di mercanti africani. Questa situazione indusse molti europei a concludere che i propri legittimi interessi avrebbero potuto essere meglio soddisfatti se avessero abbandonato le alleanze con i sovrani africani e se si fossero impadroniti essi stessi del controllo politico.

Questo mutamento degli atteggiamenti politici europei fu accentuato dal fatto che i mercanti non erano più la sola presenza occidentale in Africa: facevano la loro comparsa gli esploratori, che cercavano altre risorse di là dagli stati costieri, e i missionari che si stabilirono nelle zone che erano state interessate alla tratta, per porvi rimedio

Ma la presenza più importante oltre ai mercanti fu di funzionari politici e militari, in particolare francesi e inglesi. Questo perché, se si voleva porre fine alla tratta, era necessario attuare un controllo non in Europa, ma in Africa e in America, dove gli schiavisti operavano. Fu l’Inghilterra ad imporsi in questo senso, soprattutto perché possedeva una flotta notevolmente più numerosa degli altri stati. In secondo luogo sia il governo francese che quello inglese avvertivano la necessità di imporsi politicamente sulle aree commerciali per garantire il supporto politico, tecnico e navale ai mercanti.

Alla fine del 19° secolo i francesi cominciarono ad occupare militarmente il Senegal e si spinsero verso l’interno cercando di arrivare all’alto Niger, che era navigabile e gli avrebbe consentito l’accesso al Sudan Occidentale.

Gli inglesi invece puntavano su un atteggiamento tipico del laissez – faire, preoccupandosi esclusivamente di agire contro la tratta degli schiavi. Per ottenere questo strinsero alleanze con i governi africani e, sebbene l’azione inglese fu più lenta e meno decisa che quella francese, ebbe un’interferenza sugli affari africani maggiore. Solo più tardi gli inglesi si resero conto che per ottenere il loro scopo era più facilmente raggiungibile usando la forza.

Nel 1821 l’Inghilterra ritenne che il metodo migliore per interrompere la tratta di schiavi era di occupare i territori dai quali partivano le navi negriere, ma in seguito ad una pesante sconfitta in battaglia il governo non appoggiò più questa politica.

Nella seconda metà del 19° secolo l’Inghilterra si propose di occupare i territori interessati alla tratta degli schiavi per fermarne il corso.

Alcuni mercanti africani erano ansiosi di veder compiuta l’espansione inglese anche all’interno poiché lo ritenevano proficuo per i loro interessi. In effetti, vedevano di buon occhio un’acculturazione degli indigeni. Quest’elemento modernizzante era il frutto di secoli di contatti con gli insediamenti europei (portoghesi e spagnoli), contatti che ora ricevevano un impulso dall’invasione dell’Africa da parte dei missionari cristiani.

Lo scopo della loro attività era non solo di convertire al cristianesimo, ma di combattere la tratta degli schiavi e di “risarcire” l’Africa dai danni subiti proprio dalla tratta stessa.

Ma inizialmente non ottennero grandi successi, se non presso i sovrani più deboli, soprattutto nell’Africa Meridionale e Centrale, che vedevano nei missionari dei possibili mediatori politici contro gli europei colonizzanti.

Nell’Africa Occidentale i missionari ottennero dei risultati presso quelle popolazioni comuni che non subivano un’eccessiva pressione da parte delle popolazioni tradizionaliste. Ad esempio a Freetown, dove erano concentrati gli schiavi liberati che spesso avevano già conosciuto il cristianesimo. Così si formò una comunità creola distinta composta da africani convertiti che era ben decisa a prendere parte, con le sue guide europee, allo sfruttamento e alla trasformazione dell’Africa Occidentale. A metà del 19° secolo i creoli colti prendevano parte alle attività inglesi lungo la costa, seguiti dai missionari bianchi che li avevano convertiti i quali, seguendo l’avanzata dei creoli, trovavano altre popolazioni disposte ad ascoltarli.

Negli anni ’70 del 19° secolo il governo inglese decise che non era più tollerabile il continuo rischio d’invasione dei suoi possedimenti africani costieri da parte delle popolazioni interne; fu così organizzata e realizzata la conquista del regno Astanti. Fu inoltre costruita una ferrovia che collegava la capitale Kumasi con la costa, cosa che fecero anche i francesi tra l’alto Senegal e il Niger.

Negli anni ’80 si fa avanti anche la Germania che occupa il Togo e il Camerun, incuneandosi tra le colonie britanniche della Costa d’Oro insieme alla Francia, e l’Inghilterra si fa avanti lungo i fiumi Niger e Gambia, creando la colonia del Gambia, un cuneo tra i territori francesi. Questo fece acquisire maggior importanza al fiume Senegal tramite il quale poteva essere raggiunto il Sudan Occidentale e che era in mano ai francesi.

In seguito l’Inghilterra e la Francia si misero parzialmente d’accordo e occuparono i territori interni alla Costa d’Oro e alla Costa d’Avorio sottomettendo anche la popolazione che non aveva più un ruolo attivo nell’economia.

Capitolo 14

L’espansione del potere europeo durante il 19° secolo

2 – L’Africa Meridionale, Orientale e Settentrionale

Il Capo di Buona Speranza aveva sempre avuto un’importanza strategica per le potenze navali europee ed era sempre rimasto in mano agli olandesi fino al 1795 quando gli fu sottratto dagli inglesi, che lo resero nel 1803 e se lo ripresero nel 1806 con la ripresa delle guerre anglo – francesi.

Gli olandesi occuparono Capo di Buona Speranza nel 1652, per controllare il traffico nell’Oceano Indiano. Per approvvigionarsi avevano sollecitato l’immigrazione di bianchi agricoltori. Ma all’inizio del 18° secolo questi riuscivano a produrre tre volte più di quanto fosse necessario e non avevano mercati su cui mettere i prodotti. Ma i governanti non erano interessati ad occuparsi dei problemi dei coloni e smisero di incoraggiare l’immigrazione e importarono schiavi di colore dai paesi africani e asiatici con i quali aveva rapporti d’affari.

Presto i coloni bianchi rimasero senza lavoro e si spinsero all’interno scacciando i Khoikhoi.

Ma questi terreni erano aridi e l’unico modo per sopravvivere era di espandersi e diminuire la densità di popolazione, cosa che i governanti ostacolarono senza successo.

Ad ovest i boeri s’incontrarono con i Bantu e fu guerra, ma i bantu erano più formidabili dei Khoikhoi e la loro popolazione era in continuo aumento come quella dei boeri. Il governo di città del Capo non poté far altro che proibire ai boeri di attraversare il confine con i bantu, ma i coloni, in seguito a questo, nel 1795 si dichiararono indipendenti.

In questi anni arrivò l’Inghilterra che non fece altro che prendere atto della situazione e decise che per la sicurezza dei suoi interessi non si poteva far altro che controllare i boeri e nello stesso tempo difendere la loro frontiera. I boeri furono disposti a rassegnarsi al controllo inglese in cambio della difesa della frontiera con i bantu.

Negli anni ’20 del 19° secolo l’Inghilterra dovette ridurre i costi delle operazioni oltre mare e decise che la difesa della frontiera doveva essere a spese dei coloni. Inoltre le persone di colore erano in uno status praticamente di schiavi, e fu deciso che fossero protette dalle legge.

Ben presto i boeri ne ebbero abbastanza degli inglesi, soprattutto perché il compenso per ogni schiavo liberato non fu come era stato promesso, e perché la situazione alla frontiera non si sbloccava. Così si spostarono a nord al di fuori della legislazione inglese. Qui trovarono sì terre fertili e disabitate, ma anche popoli ostili con cui dovettero combattere. Dopo aver cacciato i popoli ostili i bantu li raggiunsero, e inoltre l’Inghilterra ritenne che lo spostarsi più a nord non li avesse sottratti ai loro doveri di sudditi inglesi, e avrebbero dovuto rispondere dei problemi creati alla corona inglese.

I boeri quindi si spostarono nuovamente e proclamarono due repubbliche indipendenti che l’Inghilterra riconobbe.

Ma mentre nelle altre terre sud africane i missionari erano riusciti a mettere i neri sullo stesso piano dei bianchi, in queste due repubbliche i boeri erano una classe che dominava sui neri schiavi.

Contemporaneamente un missionario, Livingstone, cercò altri popoli neri nell’interno e altre vie di comunicazione verso le coste orientali.

Livingstone divenne un eroe nazionale inglese e convinse l’Inghilterra che lo Zambesi poteva offrire terre fertili e produttive. Con una spedizione arrivò a sud del lago Malawi e trovò le terre che cercava. Inoltre sperimento di persona la tratta degli schiavi che portava alle coste orientali, il che diede un impulso alla colonizzazione.

Presto gli interessi inglesi, e di conseguenza francesi, si spostarono sulla costa orientale. Nel 1862 ci fu un accordo anglo – francese in cui si spartiva questa parte d’Africa, in particolare i porti delle isole vicino a Madagascar.

In realtà sia Francia che Inghilterra cercavano di avvicinarsi all’Egitto e al controllo del canale di Suez, importante per i loro commerci in India.

Intorno al 1822 gli inglesi strinsero un patto con gli Omani per tenere lontani i francesi. Però gli Omani trafficavano schiavi dall’Africa e accettarono, perché si resero conto della loro inferiorità, di limitare questa tratta.

Più tardi, quando Livingstone scoprì le dimensioni di questo commercio, gli inglesi proibirono definitivamente questo mercato e occuparono i territori fino al Buganda, all’alto Congo e al Katanga.

Verso la fine del 19° secolo anche il Belgio si fece avanti in Africa, e giacché nessuno era interessato alla parte centrale di questo continente le altre nazioni riconobbero la supremazia del governo belga in quei territori.

Il re del Belgio cercò il consenso internazionale della sua impresa essenzialmente sul piano umanitario. In effetti, il porto d’accesso, negli anni precedenti, per l’Africa Centrale, era stato Zanzibar, dove i mercanti attuavano ancora il commercio di schiavi, che l’Europa voleva fermare.

Presto i missionari si resero conto che era necessario usare spesso la forza per combattere i mercanti di schiavi, e l’Inghilterra appoggiò l’azione.

Ma il fattore missionario non era l’unico stimolo per l’intervento imperiale inglese: questo era motivato, nell’Africa Centrale, in seguito alle scoperte minerarie dell’Africa Meridionale, e nell’Africa Orientale dagli sviluppi avvenuti in Africa Settentrionale, dove sia la Francia che l’Inghilterra avevano assunto il controllo della Tunisia, dell’Algeria (FR) e dell’Egitto (EN).

La sconfitta dell’Impero Ottomano consentì all’Etiopia, che era sopravissuta in tutti questi anni come regno cristiano, a riprendere i contatti con il resto della cristianità, e sia la Francia che l’Inghilterra e l’Italia occuparono territori sul Mar Rosso, che aveva di nuovo assunto un’importanza strategica.

I governanti etiopici si prestarono a cooperare con gli europei, acquistando armi da fuoco e costituendo una forza militare competitiva, che dovette subito darsi da fare contro le incursioni egiziane. Negli anni precedenti l’Egitto era riuscito ad attrezzare un esercito moderno e cercava di ottenere l’indipendenza dall’Impero Ottomano d’Istanbul. Ma le potenze europee non vedevano di buon occhio tutto questo, perché preferivano che l’Egitto fosse governato dal debole impero turco.

Negli anni ’60 del 19° secolo vene concesso ai francesi di costruire un canale che portava dal Mar Rosso al Mediterraneo, ma gli Inglesi non vedevano di buon occhio quest’impresa, perché ritenevano che il canale sarebbe stato utilizzato più dalle potenze europee che dalla loro navi; preferivano invece che fossero utilizzate le ferrovie costruite da loro per trasportare le merci da un mare all’altro.

In ogni modo nel 1869 il canale fu aperto e l’Inghilterra ne fece buon uso, avendo la flotta più moderna e avendo in mano gran parte dei commerci con l’Asia. All’Egitto il canale non rese praticamente nulla, poiché si riempì di debiti e dovette vendere la quota d’azioni sul canale. Inoltre, non riuscendo a pagare i debiti con i finanziatori europei, fu costretto a nominare dei commissari europei che controllassero le finanze dello stato egiziano.

Ma i militari egiziani non volevano essere governati dagli europei e si ribellarono. Furono però sconfitti dall’Inghilterra, siccome la Francia aveva dei problemi interni e non poté intervenire.

Nel 1882 l’Inghilterra aveva il controllo dell’Egitto che divenne praticamente una colonia per quasi 50 anni.

Gli inglesi si trovarono nelle mani anche la difficile situazione sudanese, dove lo schiavismo e altre forme di brutalità imperversavano. Ma l’Inghilterra riteneva che all’Egitto non convenisse riconquistare l’impero perduto e mandò un generale a trattare con i sudanesi per ridargli i loro territori ad eccezione dei porti sul Mar Rosso. Ma per un equivoco il generale inglese fu ucciso.

Germania e Inghilterra si divisero l’Africa Orientale, mentre l’Italia conquistava l’Eritrea, cosa che preoccupava gli inglesi. Ma nel 1896 gli italiani furono sconfitti.

Due anni dopo l’Inghilterra ritenne che il debito pubblico egiziano era stato ricomposto e costituì un esercito anglo – egiziano per la conquista del Sudan. Una volta compiuta l’operazione, i francesi arrivarono in quei territori ma si ritirarono. L’Inghilterra si era rivelata il più aggressivo stato europea nel continente africano.

Intanto nell’Africa Meridionale si scoprì la possibilità di coltivazioni proficue e la presenza di miniere diamantifere. Fu di nuovo il governo inglese del Capo ad ottenere quei territori che gli servivano anche come base di partenza dei missionari per l’interno.

Presto ci fu un decollo economico di queste zone e molta gente fu attratta per lavorare: operai bianchi specializzati e operai neri non specializzati. Se prima tra bianchi e neri vi erano barriere geografiche adesso si stabilivano barriere di classe, determinate dal colore della pelle.

Mentre i coloni inglesi si rafforzavano economicamente e politicamente, i boeri coltivarono un sentimento di nazionalismo che si opponeva al dominio di questi.

Alla fine degli anni ’80 del 19° secolo i boeri scoprirono, nella loro repubblica indipendente, dei giacimenti d’oro di consistenza notevole, che avrebbero fornito i mezzi per realizzare le loro ambizioni.

Presto l’economia crebbe in modo consistente e aumentò anche l’immigrazione dall’Europa. Ma se i boeri volevano mantenere la loro indipendenza dagli stati europei dovevano negare i diritti politici agli immigrati. Inoltre una spedizione inglese tentò di invadere il Transvaal, la terra dei Boeri, senza successo. In ogni caso dopo questo i boeri erano del tutto convinti che gli interessi inglesi in Sud Africa erano determinati a distruggerli. In seguito alla vittoria del Transvaal sugli inglesi molte nazioni europee solidarizzarono con i boeri, pur lasciandoli indipendenti.

Ma nel 1899 l’Inghilterra si fece avanti molto più decisa e invase le repubbliche boere riducendole allo status di colonie inglesi.

Parte Quarta

L’Africa nel mondo moderno

Capitolo 15

Il periodo coloniale

1 – Politiche generali e colonie di sfruttamento

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All’inizio del 20° secolo cominciò la spartizione europea dell’Africa. Una gran parte di questa spartizione fu portata a termine in Europa, nel corso d’incontri tra gli uomini di stato. Spesso singoli emissari si affrettavano ad anticipare gli altri per ottenere il consenso di sovrani africani ad accordi che potessero essere usati in Europa per dimostrare che quel particolare territorio era sotto la loro protezione. Ma era da verificare se il sovrano africano intendesse l’accordo in quel senso o se la sua popolazione acconsentisse a questo o se l’intera popolazione del suo territorio accettasse la sua giurisdizione.

Fino al 1914 circa, lo sforzo principale, dopo la spartizione sulla carta, fu quello di conquistare e organizzare le colonie. Ma ben pochi europei erano interessati all’Africa, se non ufficiali dell’esercito che, avendo poche possibilità di farsi valere in Europa, andavano in Africa per fare carriera.

Questi ufficiali ottenevano il governatorato delle colonie, applicando il metodo dell’indirect rule.

Essendo oneroso per l’Europa mantenere un apparato militare e organizzativo in Africa, si preferiva impiegare soldati e gente africana. Una volta imposto il dominio sulle colonie, gli europei continuarono a fare assegnamento sugli africani perché li aiutassero a governare.

Ma gli investitori erano scettici sugli investimenti in Africa, e rimanevano interessati solo alle zone già ben conosciute e in cui era nota l’esistenza di una consistente ricchezza mineraria.

Un mezzo per attirare i capitali in Africa fu di assegnare larghe aree delle colonie a compagnie private, spesso pure imprese speculative, che puntavano a sfruttarne le risorse minerarie e agricole.

Il governo voleva anche assegnare a queste compagnie responsabilità governative, ma queste imprese abbandonarono presto i loro impegni di governo.

In Africa Occidentale fu ritenuto più proficuo comprare i prodotti agricoli dagli africani piuttosto che coltivarli, perché queste popolazioni erano già da secoli abituate a commerciare con gli europei e a venire incontro ai loro bisogni commerciali.

Fu così che in Africa Occidentale si sviluppò anche un’industria estrattiva di livello mondiale.

Nell’Africa Orientale e Centrale si preferì affidare le terre ai coloni piuttosto che alle Compagnie, ritenute meno produttive. Solo in Uganda lo sviluppo seguì quello dell’Africa Occidentale, con i coltivatori africani che svilupparono un’agricoltura per il mercato europeo.

Nel Congo Belga il re Leopoldo concesse una parte del territorio a compagnie private, e per il resto impose alla comunità africane locali di consegnare le sue quote d’avorio e caucciù agli agenti del governo senza ricompensa. Le atrocità commesse furono denunciate dall’opinione pubblica, soprattutto inglese, e il re del Belgio dovette prendere provvedimenti per porre fine a questa situazione, trasferendo la propria colonia sotto il controllo del governo e del parlamento belgi.

In pratica il primo quarto di secolo di colonialismo europeo in Africa non diede grandi risultati, a causa del basso livello delle economie africane, che richiedevano investimenti maggiori di quanto potessero rendere.

Inoltre le conquiste, ottenute con la forza, avevano avuto l’effetto di diminuire la popolazione, che era la risorsa più preziosa in Africa. Gli europei giustificarono i loro comportamenti violenti dicendo che erano necessari per portare la civiltà. Il Belgio sfruttò pienamente il Congo, attuando una politica che non aveva altra finalità che quella di fare dei Congolesi degli assistenti più sani e più adeguati allo sfruttamento del loro paese, ristrutturando settori sociali quali la sanità, la casa e l’educazione.

I tedeschi attuarono delle politiche che attiravano la simpatia degli africani, giacché cercavano i metodi migliori per combattere le malattie africane, sia per gli uomini che per le coltivazioni, e misero a disposizione denaro per la costruzione d’infrastrutture quali ferrovie. Però dopo la guerra in Europa del 1914 – 1918, persa dalla Germania, le sue colonie furono spartite tra Francia, Inghilterra, Belgio e il nuovo autogoverno inglese del Sud Africa.

I francesi tendevano a considerare i popoli delle colonie alla stregua dei francesi residenti in Francia, dandogli diritti quali la rappresentanza in parlamento. In ogni caso la direzione governativa spettava sempre a Parigi, centro del potere francese.

L’Inghilterra, dopo le esperienze con le colonie americane, prese l’abitudine di affiancare ai suoi governanti dei rappresentanti locali che li aiutassero ad elaborare leggi adatte al luogo. Rispetto alla Francia, i governatori coloniali inglesi avevano molta più autonomia dal governo di Londra. Questo li portava ad un più stretto contatto con le realtà africane.

Dopo la prima guerra mondiale, quando le colonie tedesche furono divise tra i vincitori, ci fu un cambiamento nel comportamento dei colonizzatori: un trattato della neonata Società delle Nazioni impediva agli stati europei di continuare, almeno sulle nuove colonie acquisite dalla Germania, a sfruttare gli africani, obbligandoli ad inviare annualmente rapporti dettagliati sulla situazione e a sottoporsi a controlli da parte della Società stessa.

Le élites culturali africane interpretarono il trattato della Società delle Nazioni come una volontà di costituire degli stati africani in grado di reggersi da soli. Nacquero così dei movimenti politici africani. Ma gli europei considerarono superficialmente queste iniziative, perché pensavano che prima di potersi reggere da soli gli africani avrebbero dovuto raggiungere un gradi di civiltà molto lontano, processo che avrebbe richiesto almeno un secolo.

Inoltre, in seguito alla prima guerra mondiale e alla crisi economica degli anni Trenta, gli europei persero fiducia sia nelle loro mire coloniali che nelle forze economiche “naturali”, sulle quali puntavano per produrre dei cambiamenti in Africa.

Se in seguito alla depressine economica mondiale degli anni Trenta non era possibile trovare investimenti privati per le colonie, si rese necessario investire il denaro pubblico per favorire lo sviluppo di queste, che di conseguenza avrebbe aiutato l’economia occidentale.

Dopo la seconda guerra mondiale, l’Inghilterra stabilì un importo annuale di spese da effettuare nelle colonie che, seppur minimo, contribuiva ad uno sviluppo educativo e sanitario che avrebbe dato i suoi frutti in futuro.

In seguito al cambiamento d’azione dei governi europei che investivano di più in Africa, ed in seguito alla ripresa dell’economia mondiale, negli anni ’50 le colonie africane partecipavano attivamente all’economia mondiale, con tassi di crescita elevati.

Benché ora fosse posta sempre maggiore attenzione ad accrescere lo sviluppo economico e in parte anche sociale delle colonie africane, furono fatti tentativi relativamente limitati di far corrispondere a questo analoghi programmi di preparazione e di progresso politico per le popolazioni delle colonie. Ciò doveva portare negli ani ’50 a tensioni politiche crescenti in tutta l’Africa coloniale, non escluse le colonie in cui si erano stabiliti coloni europei.

Capitolo 16

Il periodo coloniale

2 – colonie di popolamento

All’apice del periodo coloniale, a metà degli anni ’50 del 20° secolo, c’erano più di 5.000.000 di persone di origine europea in Africa. Questi coloni rappresentavano un’esigua minoranza di tutta la popolazione, ed erano concentrati soprattutto in Algeria e in Sud Africa.

Alcuni stati europei, come il Portogallo e l’Italia, incoraggiavano i loro abitanti ad emigrare nelle colonie africane per mitigare la miseria in patria.

Oltre agli europei vi erano un numero considerevole di asiatici, arabi ed ebrei.

Pur essendo una piccola minoranza, gli europei conservavano il potere e si consideravano superiori agli altri abitanti delle popolazioni, perseverando nella loro fede di supremazia, anche quando gli europei residenti in Europa cominciarono a dubitarne, o perlomeno a dubitare di avere ancora diritto ad esercitare un’influenza politica.

La Francia alla fine del 19° secolo decise di governare l’Algeria come se fosse una regione francese ma i problemi furono non pochi, giacché gli europei rappresentavano una minoranza e la maggior parte degli algerini autoctoni non era certo disposta a rinunciare alle tradizione musulmane. Inoltre un’ondata di fermento antisemita scoppiata all’inizio del 20° secolo portò ad importanti cambiamenti costituzionali. Fu nominato un governatore centrale algerino e un’assemblea eletta, di cui però facevano parte ben pochi eletti dagli algerini. In riconoscimento ai meriti in guerra, nel 1918 fu realizzato qualche miglioramento nella posizione degli algerini autoctoni, anche se la maggioranza del paese continuava ad avere ben poca voce in capitolo.

Una gran parte degli algerini si spinse verso le città in cerca di lavoro e costituirono un proletariato rurale, e in certa misura anche urbano, che i coloni politicamente dominanti potevano sfruttare per i propri scopi economici.

La Tunisia e il Marocco ebbero un trattamento diverso, poiché il governo era in mano ai sultani locali, anche se col tempo i francesi imposero un controllo internazionale sulle loro finanze. Inoltre, a causa di varie interferenze internazionali, la Francia non sarebbe stata in grado di imporre il proprio controllo senza il consenso delle altre potenze europee.

In questo modo gli abitanti di Tunisia e Marocco erano sudditi dei loro sovrani e i francesi non avevano potere politico su di loro.

In Sud Africa la situazione non fu diversa. Una forza superiore aveva permesso ai coloni di occupare molta della migliore terra agricola, attraverso la quale furono costruite ferrovie per permettere alla merce di raggiungere i mercati mondiali.

I coloni del Sud Africa erano gli unici ad avere accesso a ricchezze minerarie capaci di lanciare una rivoluzione industriale nel loro stato, ed erano gli unici ad aver sviluppato un senso di identità nazionale indipendente dai legami che avevano con l’Europa, cosa che li portò a poter proclamare il loro totale impegno per cercare un futuro in Africa per sé e per i loro figli.

L’Inghilterra, in Sud Africa, si preoccupò di soffocare i boeri e di assicurarsi che le risorse della colonia fossero sfruttate, anche se dai non – europei, per l’interesse imperiale inglese.

Inoltre era diffusa l’idea che i coloni europei dovessero governare le colonie per evitare problemi, spese e ingiustizie. Ma non pensarono che questo poteva portare a un conflitto di interessi razziali, giacché i governi eletti non potevano che essere boeri (poiché maggioranza tra gli europei).

Fu nel 1947 che Apartheid fu enunciato come dottrina politica ufficiale: secondo questo il Sud Africa era una società composta da diversi popoli distinti, che dovevano vivere ciascuno nella propria terra nativa, separati l’uno dall’altro, e che i non – europei potessero entrare nella patria dei bianchi soltanto come salariati transitori, senza status politico.

Ma con il tempo i timori degli africani, in tutta l’Africa, si accentuarono allorché la minoranza dei loro rappresentanti nelle assemblee di governo si dimostrò incapace di impedire alla maggioranza europea di demolire la salvaguardie contro una legislazione discriminante contro gli africani.

Col passare degli anni la dottrina della superiorità europea venne a poco a poco abbandonata.

Capitolo 17

L’indipendenza riconquistata

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Negli anni ’70 il sistema coloniale era scomparso a tutti gli effetti. Il momento giusto per l’indipendenza per ogni singolo territorio fu spesso determinato da circostanze locali e dalla manipolazione di queste da parte dei leaders africani anticoloniali.

Ma in parte il ritiro degli imperi coloniali fu dovuto anche dall’atteggiamento degli europei: sia le due guerre che la depressione tra una guerra e l’altra furono due motivi che indebolirono la fiducia europea. Ma anche il fatto di considerare la loro azione come un’azione civilizzatrice conteneva in sé gli elementi della propria dissoluzione. Presto gli africani, che erano stati educati dagli europei, impararono a voler fare tutte le cose che facevano gli europei per se stessi, e in qualche misura impararono come farle, sia adattandole alle loro forme di organizzazione tradizionale, sia facendo proprie quelle europee.

Durante le seconda guerra mondiale, dopo vaie fasi di battaglie, tutta l’Africa Settentrionale, dalla Somalia al Marocco, si trovò sotto il controllo inglese o francese.

Importante è notare che l’Etiopia, una volta liberata dal fascismo, non fu posta sotto il dominio di una delle nazioni liberatrici, ma fu accettata dagli altri stati come uno stato indipendente.

Così negli altri stati nord – africani i governi militari europei erano solo governi di transizione che dovevano durare solo il tempo di restaurare la più appropriata autorità africana.

L’Eritrea divenne una provincia federata dell’Etiopia, mentre in Somalia furono istituiti dei governi provvisori italiano e inglese che dovevano avere la durata massima di dieci anni per preparare l’ex colonia all’indipendenza, ottenuta nel 1960.

In Egitto fu eliminata la monarchia e istituita una repubblica. In pochi anni si ottenne il ritiro delle truppe inglesi e il Sudan, tramite decisione dei suoi stessi abitanti, divenne uno stato indipendente.

In Maghreb la Francia non fu così disponibile: in effetti, non concedette subito l’indipendenza alle colonie, scatenando una serie di rivolte armate molto aspre, soprattutto in Algeria, che misero subito in crisi Parigi.

La guerra in Algeria divenne insostenibile per la Francia e, nonostante il parere contrario dei coloni, nel 1962 all’Algeria fu concesso di determinare il proprio futuro.

L’Africa Occidentale era già da molti secoli a contatto con l’Europa, e aveva una mentalità che si sarebbe più facilmente adattata a quella dei colonizzatori, con l’organizzazione di associazioni quali partiti che consentivano di competere con gli europei sul loro stesso piano.

Una situazione analoga si venne a trovare in Sud Africa dove però la reazione dei bianchi fu violenta e repressiva, e terminò con la fine evidente di ogni comunicazione tra le razze in sud africa.

In Africa Orientale e Centrale la situazione non fu troppo diversa se non che l’istruzione media era troppo bassa e il coinvolgimento della popolazione ridotto.

Così, in mancanza di organizzazione politiche adeguate, il ruolo di indipendentisti fu preso da movimenti ecclesiastici separatisti.

Dopo la guerra i “predicatori” di questi movimenti indipendentisti trovarono nelle colonie dell’Africa Orientale terreno fertile per le loro rivoluzioni. Gran parte delle persone colte di queste colonie era stata in guerra a fianco degli europei per liberare Etiopia, Birmania, India e anche in Francia, e si chiedeva come mai questo beneficio (la libertà) fosse loro negato.

Intanto nella Costa d’Oro una rivolta fece capire all’Inghilterra che era venuto il momento di avviare la colonia all’autogoverno.

Una volta accettato per la Costa d’Oro, questo principio non poteva essere negato alla altre colonie inglesi dell’Africa Occidentale, tenendo conto, ovviamente, della particolarità di ognuna.

Di conseguenza anche la Francia non poté fare a meno di concedere l’autogoverno alle colonie confinanti quelle inglesi. Ma nel 1958 De Gaulle concesse la facoltà alle colonie di decidere se ottenere la totale indipendenza o far parte di una Comunità Francese.

Tutte le colonie optarono per la Comunità tranne la Guinea, che per sopravivere ricevette aiuti del Ghana e dai paesi comunisti dell’Europa e dell’Asia.

Ma presto le colonie francesi si resero conto che la Comunità non era la cosa migliore e trattarono con la Francia per l’indipendenza. Una volta ottenuta tutte le colonie, ad eccezione della Guinea, del Mali (perché con posizioni ideologiche inaccettabili) e della Costa d’Avorio e del Gabon (perché non ne avevano bisogno) ricevettero assistenza dalla Francia.

I belgi continuavano la loro vita in Congo senza curarsi di ciò che accedeva nel resto dell’Africa, finché nel 1959 violente rivolte li convinsero a dichiarare, nel 1960, che il Congo era uno stato indipendente. Ma il Congo Belga era frammentato in molte tribù e fu difficile mantenere l’ordine. Così, in seguito ad una rivoluzione e all’intervento delle Nazioni Unite, fu riportato l’ordine, imponendo l’unità sotto il comando del generale Mobutu. Il paese fu poi rinominato Zaire.

Nell’Africa Orientale inglese si stava lavorando per preparare all’indipendenza le colonie, al di là del parere dei coloni. La decolonizzazione qui fu tranquilla ad eccezione del Kenya, dove si sviluppò una situazione di tipo algerino, e dove fu istituita dagli africani la società segreta MauMau, che dette non pochi problemi, in fatto d’ordine, agli inglesi. Una volta ristabilito l’ordine venne istituita una democrazia ma le elezioni furono vinte dal partito informalmente affiliato ai MauMau.

La Rhodesia si rese indipendente con un atto unilaterale non riconosciuto dagli altri paesi, e fu colpita da sanzioni di Inghilterra e USA, ma finché aveva accesso ai porti del Sud Africa, suo alleato, non subì gravi danni.

A questo punto l’Inghilterra, nonostante il problema irrisolto della Rhodesia, non aveva più impegni coloniali in Africa. Rimanevano solo la Spagna, che si affrettò a liberarsi dei suoi territori oltremare, e il Portogallo, che non fece nulla.

Negli ani ’60 nelle colonie portoghesi (Guinea, Mozambico, Angola) ci fu una vera e propria guerriglia che divenne presto insostenibile per l’economia portoghese che nel ’74 dichiarò indipendenti le sue colonie.

Ma i rivoluzionari africani in Rhodesia adesso avevano accesso più facile al Mozambico dove potevano procurarsi armi. Nel 1979 venne istituita una repubblica democratica e il paese fu rinominato Zimbabwe – Rhodesia. Il nuovo governo multi – etnico non riuscì però a placare la rivolta che anzi si fece più cruenta.

Solo nel 1980 si riuscì, sotto il patrocinio dell’Inghilterra, a dar vita a elezioni veramente democratiche, e il paese fu nuovamente rinominato con Zimbabwe.

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