Pedagogia Interculturale aa 00/01
Docente: Di Giacinto
Percorso di ricerca
La ricerca prevede un’intervista ad un operatore della Cooperativa Sociale Agorà, operante a Genova nell’inserimento di minori extracomunitari, e successivamente un’intervista ad un minore (se possibile) coinvolto, in quanto utente, nell’operato della cooperativa.
L’intervista all’operatore, già individuato nella persona di Rita Sgarban, toccherà i seguenti punti:
- la costituzione della Cooperativa Agorà
- la struttura della cooperativa
- il personale
- la formazione del personale
- i committenti
- gli utenti
- gli obiettivi raggiunti
- gli obiettivi falliti
- alcune domande specifiche sull’intervistato (che ruolo ricopre, da quando, ecc…)
Nel caso in cui non fosse possibile intervistare un utente minore, l’intervista sarà svolta con un maggiorenne. La preferenza è un adolescente già inserito. Quest’intervista cercherà di chiarire l’identità dell’intervistato e prevede domande che riguardano:
- la storia dell’intervistato
- i motivi della migrazione
- l’impatto con la nuova realtà
- il bilinguismo
- i rapporti con il gruppo sociale d’appartenenza già presente nel territorio
- l’intenzione per il futuro (rimanere o tornare?)
- i rapporti con i coetanei italiani
- i rapporti con soggetti d’altri gruppi sociali
- i rapporti con la cooperativa sociale
- i rapporti con le istituzioni italiane (in particolare la scuola)
- l’opinione sugli italiani
Successivamente le due interviste saranno arricchite di un commento sulla base delle conoscenze acquisite durante le ore di lezione della dott.sa Di Giacinto e diffuse all’interno del corso di Pedagogia Interculturale.
Intervista ad un operatore della Cooperativa Sociale Agorà
- Chi ha fondato la Cooperativa e con quali obiettivi?
In realtà è un consorzio, nel senso che ormai… dal… 92-94 un gruppo di cooperative si è unito a costituire un consorzio sociale; quindi: stessi obiettivi di una cooperativa sociale non profit, ma, come consorzio, con la possibilità di avere una marcia in più. È stato creato un capitale sociale, che ha dato vita poi al consorzio, il consorzio è partito come insieme di cooperative e quindi gestisce una serie di convenzioni sociali, principalmente con il comune di Genova poi con altri comuni, anche della Liguria, anche della Lombardia…
- Lavorate solo con gli immigrati o avete altri tipi d’utenza?
No. Il consorzio è abbastanza grande, si occupa di diversi settori: ha un settore socio-educativo, un settore anziani, un settore… animazione, non so se è il termine giusto… animazione-vacanze, un settore formazione, poi ce ne sono altri che non conosco. Quindi: il settore socio educativo è solo uno. Nel settore socio educativo sono comprese: comunità… quelle che si chiamavano una volta comunità alloggio, adesso sono comunità educativo-assistenziali, mi sembra… e in genere sono comunità per minori, adolescenti, italiani o stranieri… quindi, il settore socio educativo si occupa in genere dei minori o comunque dei giovani ma… italiani o stranieri… noi siamo un settore proprio a parte. Quindi dicevo nel settore socio educativo ci sono le comunità, ci sono i CEL che sono centri di educazione al lavoro, ci sono… centri sociali, i centri socio educativi, gli spazi famiglia… tutte attività rivolte in genere al minore o comunque in appoggio alle famiglie che hanno minori; invece noi siamo in realtà in Agorà il settore che si occupa solo di nomadi e stranieri. È un servizio di accompagnamento della popolazione nomade ed extracomunitaria. Questo non vuol dire che gli altri settori di Agorà non possono aver a che fare con stranieri, in una comunità ci può essere un minore straniero, in un laboratorio può esserci un minore straniero… noi però lavoriamo direttamente con l’Ufficio Stranieri del comune, gestiamo con loro una serie di progetti… seguiamo i progetti sui minori stranieri che poi vanno in comunità, in laboratorio eccetera…
- Fate interventi di formazione su operatori italiani che si occupano di immigrazione?
Non è così formalizzato nel senso che noi, come equipe, che attualmente è composta da otto o nove persone veniamo formati da enti di formazione, per esempio l’ENFORM, lo IAL, ho fatto dei corsi di formazione con la CARITAS… possono essere formazioni legate o a progetti europei, che quindi prevedono una formazione che coinvolge più paesi europei, dentro ogni paese più città… ad esempio ho fatto una formazione che durava sei mesi, ed erano un venerdì, un sabato e una domenica al mese, giornata intera, ed era una formazione legata alla mediazione culturale, basata sul metodo di Cohen Emerique, che è una psicologa francese. Oppure lo stesso consorzio Agorà organizza delle formazioni, abbiamo appena finito, ad esempio, un corso di aggiornamento per operatori che lavorano con stranieri, però a questo abbiamo partecipato noi come equipe, ed altri educatori in Agorà o extra-Agorà che si occupano di stranieri. Oppure noi stessi educatori o coordinatori o altre persone che lavorano con stranieri possiamo aver avuto occasione di partecipare all’esterno, a un convegno o a un seminario, a parlare di stranieri. Però, noi come equipe non organizziamo corsi di formazione.
- Quali sono le principali difficoltà nel rapporto con gli immigrati?
Intanto preciso che le persone di cui ci occupiamo sono o nomadi, che risiedono a Genova da anni, sicuramente da più di dieci anni, quindi sono persone che vivono qui e la difficoltà della lingua non c’è, nel senso che capiscono e si fanno capire… mentre con l’altro settore che è quello degli stranieri ci occupiamo sia degli adulti ma soprattutto dei minori. I minori però non arrivano a noi… io non è che li incontro per strada… mi arrivano sempre dall’Ufficio Stranieri. Sicuramente la prima difficoltà è una difficoltà di lingua, se non sanno l’italiano, per il semplice fatto che è legata alla comprensione, quindi tu spieghi tutta una serie di cose che è il procedimento della presa in carico da parte del Comune, che cosa il Comune può fare, cosa non fa, cosa deve fare lui per rientrare nei progetti, ed è difficilissimo all’inizio capirsi. Però per superare questa difficoltà il comune utilizza, già da diversi anni, i mediatori culturali, che sono stranieri, che fanno parte di una cooperativa che si chiama SABA, e lavorano anche con l’Ufficio Stranieri, che li chiama e in quel caso fanno da traduttori, anche se il mediatore non è solo l’interprete ma dovrebbe anche mediare tra le due culture, comunque c’è, quando è necessario, l’intervento del mediatore.
- Altri problemi, come la religione…
La lingua è il primo, d’impatto, poi secondariamente… potrei dire un discorso culturale… magari emergono le differenze, le differenze tra le due culture, differenze sul modo di parlare alle persone, sul modo di stare insieme ad altre persone, dalla socialità al modo di presentarsi, all’abitudine di avere a che fare con uomini o con donne, con donne che ti possono dire cosa fare, ad esempio, è difficile aver a che fare con un bambino marocchino, dirgli cosa deve fare come se fossi tu il capo, perché sono abituati che nella scuola coranica hanno solamente uomini che fanno da insegnante, da maestro, da tutore, mentre da noi si ritrovano in una scuola dove ci sono solo donne…
- E voi cercate di educarli a vivere come viviamo noi, ad esempio a abituarli al fatto che ci può essere anche un’insegnante donna?
Sì, cioè… è un po’… come dire… C’è una filosofia, sulla quale si lavora come educatori e c’è un mandato del Comune che è un po’ diverso… Il mandato del Comune, in questo momento, di questo Assessorato è: le persone straniere hanno dei diritti e dei doveri, quindi, per esempio, l’Ufficio Stranieri si occupa solo delle persone con permesso di soggiorno, adulti. I minori… ragazzi che arrivano… i così detti minori soli non accompagnati… quindi anche se sono irregolari, perché la legge, il TU sull’immigrazione, prevede, è una cosa scontata, che comunque il Comune se ne debba far carico, li deve prendere in carico e comunque li deve seguire. Allora, dal punto di vista educativo, diciamo che il nostro lavoro con minori stranieri… non è educativo in senso classico, nel senso che mi metto lì e gli faccio… non so un discorsone su come beviamo il caffè… C’è anche un discorso di rispetto dell’altra cultura, e questo è legato di più alla mia formazione che alle modalità del comune, che sono sicuramente ottime… Quello che si cerca di far capire sicuramente è: sei qui, ti vengono date una serie di cose, perché comunque risorse, anche se sono poche, quello che c’è viene dato, specialmente ai minori perché… è dovuto alla legge… ci sono però anche cose che devi fare, quindi, devi fare determinate cose, ti do un appuntamento devi venire a quell’ora, al tuo paese siete abituati che venite un’ora dopo? Qua si arriva puntuali. Devi andare a scuola, qui ci sono solo donne? Per te è difficile? Eccetera… Poi si cerca di mediare, in casi come questi non so, avevamo una scuola, statale, dove un anno c’erano solo ragazzi marocchini, in una classe dove c’era l’insegnante italiana che parlava solo italiano… è stato inserito un mediatore culturale… Diciamo che la nostra parola d’ordine è mediare, più che educare. Quindi, sono persone che vengono prese in carico fino ai diciotto anni, dopo devono essere indipendenti e autonomi, l’Ufficio non li segue più, non li tutela più come quando erano minori…
- E voi?
Allora, noi siamo del privato sociale, quindi lavoriamo per l’Ufficio Stranieri ma sulla base di una convenzione… sono convenzione che ogni tre o quattro anni vengono rinnovate… e sulla base di queste noi lavoriamo…
- E nel momento in cui un ragazzo compie diciotto anni lo abbandonate per strada?
Il punto è che gli utenti non sono i miei, sono dell’Ufficio Stranieri, e quello che io faccio lo concordo con l’Ufficio Stranieri, c’è un’assistente con cui ci vediamo settimanalmente, presentiamo i nuovi casi, noi abbiamo magari già pensato a cosa fare, magari abbiamo già delle attività in piedi, abbiamo dei percorsi che pensiamo che questi minori debbano fare ma il responsabile dei progetti alla fine è l’Ufficio Stranieri, e quando l’utente compie diciotto anni non rientrano più. Se sono maggiorenni possono sempre rivolgersi all’Ufficio stranieri per chiedere qualcosa… io ti parlo di Ufficio Stranieri, poi in realtà il mio ambito di lavoro non è l’Ufficio Stranieri, questo ufficio è il mio committente, io lavoro con gli educatori…
- Qual è esattamente il tuo compito nella cooperativa? Da quanti anni lavori qui, e perché?
Io lavoro qui in Agorà da tre anni e mezzo; sono prima stata assunta per un periodo iniziale di prestazione occasionale, poi con contratto a tempo determinato e quindi a tempo indeterminato. Ho sempre lavorato con questa equipe, che inizialmente era solo equipe nomadi, poi è stata ampliata in un servizio che comprende anche la popolazione extra comunitaria. Quindi, faccio parte di un’equipe di educatori, attualmente io ho un ruolo di coordinamento dell’equipe, coordinamento degli educatori, nel senso che faccio alcune cose che fanno anche gli altri e un’altra parte del mio orario è legata al coordinamento. L’equipe di educatori si muove su due servizi, quindi questo implica un’organizzazione interna suddivisa, quindi abbiamo alcune persone che si occupano dei nomadi e altre persone che si occupano di stranieri; il lavoro viene organizzato, in genere, annualmente, nel senso che all’inizio dell’anno scolastico si fa una programmazione nostra interna e con i distretti sociali oppure con l’Ufficio Stranieri. Per quello che riguarda gli stranieri si lavora direttamente con l’Ufficio Stranieri, per quanto riguarda i nomadi, si lavora direttamente ed esclusivamente con i distretti sociali di zona. Ogni campo nomadi ha, quindi, uno o due assistenti che si occupano del campo e si collabora insieme, nel senso che si decidono le cose da fare: i progetti da attuare in quell’anno, se fare un’attività per bambini, per adolescenti oppure un affido educativo, ad esempio quest’anno ci occupiamo solo di adulti, quindi solo borse lavoro.
- Perché hai scelto questo lavoro?
Sto studiando psicologia, mi devo laureare e quindi… ad un certo punto ho pensato di iniziare a lavorare nonostante fossi ancora all’Università. Ho presentato un curriculum e sono stata assunta.
- Che qualifiche devono avere gli educatori per lavorare qui? Fanno corsi di formazione?
Per essere inseriti in questa equipe non è necessario aver avuto esperienze con stranieri, vengono cercate, piuttosto, altre caratteristiche, e queste variano a seconda del momento dell’equipe: se va via una persona che sapeva fare una certa cosa se ne cerca una simile… Per quanto riguarda le caratteristiche personali l’equipe è variopinta: c’è la persona più attiva, quella più aggressiva, quello meno pratico ma che preferisce occuparsi delle relazioni, c’è un educatore bravissimo a fare animazione, una splendida nel rapporto con i minori ecc…
- Non ci vogliono, quindi, qualifiche professionali?
La qualifica ci deve essere, ma non nel senso di chi lavora con gli stranieri ma di educatore. Nel senso che per essere assunto bisogna avere un titolo o un’esperienza precedente nel campo, che potrebbe essere legata anche al volontariato: scout, ACR… In questo momento, per essere assunti come educatore, si dovrebbe avere un titolo di studio inerente o studi in corso inerenti, oppure due anni di esperienza di lavoro.
- I nuovi assunti, o anche chi già lavora nel gruppo, fanno corsi di formazione?
Sì…
- In cosa consistono questi corsi?
Sono corsi organizzati o da enti esterni ad Agorà, in collaborazione ad Agorà, dal Comune… e trattano materie che possono riguardare la legislazione sugli stranieri, l’interculturalità, aspetti psicologici…
- L’interculturalità come comunicazione o si tratta di un’educazione etnologica?
Come dicevo prima è un discorso legato più alla mediazione culturale, alla conoscenza delle altre culture, a come lo straniero vive il suo stare in Italia…
- Gli educatori hanno avuto difficoltà ad essere accettati dagli utenti o, al contrario, sono stati eccessivamente responsabilizzati, nel senso che gli utenti hanno riposto in loro tutta la loro speranza?
Gli educatori sono quelli che fanno il lavoro “sporco”, nel senso che l’assistente sociale ha contatto con i minori attraverso la scrivania, mentre l’educatore ci va in giro, lo porta a scuola, sta con lui… Il fatto che gli utenti ripongano negli educatori la loro speranza non è sempre detto in modo esplicito, però è sottinteso, nel senso che c’è una speranza che l’educatore ti trovi un lavoro, la casa…
- Quindi gli educatori non vengono respinti dagli utenti…
Sì, assolutamente! Anche perché c’è l’aspetto fondamentale che l’educatore non è uno che lo si incontra per strada e ti vuol dare una mano, ma c’è un aspetto più ufficiale: in genere i minori vengono trovati dalle forze dell’ordine e poi arrivano all’Ufficio Stranieri, dove il minore incontra l’assistente, quindi l’assistente si incontra con l’educatore il quale viene presentato al minore e si vede cosa fare. Quindi l’educatore è presentato in modo ufficiale. In genere ci sono dei progetti, su ciò che si farà con quel ragazzo…
- E il ragazzo conosce questi progetti?
Sì, li conosce, ne è al corrente e partecipa attivamente al progetto.
- Sempre per ciò che riguarda l’immigrazione, quali sono i vostri attuali obiettivi?
Sono discorsi diversi per gli stranieri e per i nomadi. I nomadi sono in pianta stabile nel comune per cui… Con loro sono stati fatti dei passi avanti notevoli, in quanto abbiamo i ragazzi che vanno alle superiori, gli uomini che lavorano, i bambini che vanno a scuola… Mentre con gli stranieri in genere… gli obiettivi sono che queste persone riescano ad essere autonomi ed indipendenti, principalmente però è la socializzazione dell’immigrato nel mondo genovese, che può significare: andare a scuola, trovarsi un lavoro, trovarsi una casa, portare i bambini all’asilo nido, essere inseriti in un centro… comunque si vede nello specifico a seconda della persona. A seconda del tipo di bisogno ci si muove in modo diverso. Per esempio, se il problema è il lavoro, non è che noi troviamo il lavoro alle persone, a meno che non si organizzino delle borse lavoro, che sono come degli stage pagati, che allora hanno come finalità l’assunzione. Noi li seguiamo come esterni: gli troviamo il posto dove farlo, lo andiamo a seguire, si segue la persona per tutto il periodo dello stage. Altrimenti abbiamo una rete che lavora con gli stranieri a Genova dove l’utente va a chiedere ciò di cui ha bisogno: se vuole lavorare, viene mandato al Centro Servi Integrati, viene mandato all’Associazione Immigrati, viene mandato da (Suor Clara)… tutti associazioni o enti che hanno delle banche dati per dare all’immigrato la possibilità di trovare ciò che cerca.
- Gli immigrati quindi vi contattano solo attraverso l’Ufficio Stranieri?
Sì, esclusivamente.
- Da che area geografica provengono prevalentemente?
Si tratta prevalentemente di minori albanesi.
- Qual è la fascia d’età?
Per quello che riguarda gli stranieri, stiamo orientando il nostro intervento sui minori, dai 15 o 14 anni fino ai 18. Se sono più giovani, possibilmente vengono rispediti in patria. C’è poi un’altra fascia di adulti. I minori sono comunque prevalentemente albanesi. Gli adulti sono albanesi, moldavi, rumeni, marocchini, tunisini… e ultimamente qui a Genova ci sono tantissime famiglie equadoregne, che è la percentuale più alta di immigrati.
- E lavorate anche con loro?
Sì, in parte sì. Io in particolare mi occupo di un altro settore, sempre con l’Ufficio Stranieri, e mi occupo anche degli adulti, delle famiglie…
- Capitano clandestini?
No, lavorando esclusivamente tramite l’Ufficio Stranieri, non è possibile. I minori vengono presi in carico dal Comune, affidato ad un servizio e poi possono chiedere il permesso di soggiorno…
- Che progetti migratori hanno prevalentemente gli utenti?
I minori in genere vengono con l’idea di restare, poi magari ti dicono anche che vorrebbero tornare… ma principalmente vogliono trovare lavoro, diventare autonomi e continuare a vivere qua. Qualcuno dice che vuole imparare a fare un lavoro e poi tornare in patria per aprirsi un’attività. Per quanto riguarda gli adulti… direi che la tendenza è di venire e restare qua. Non è detto che poi il loro progetto non sia tornare, in genere però è difficile che tornino in pianta stabile là, almeno io non ne conosco nemmeno uno, e penso che sia una percentuale bassissima. Mentre ci sono i ricongiungimenti familiari: viene il padre, poi lo raggiunge il figlio, quindi la moglie e rimangono qui in pianta stabile…
- Cosa chiedono a voi gli stranieri?
A noi direttamente niente. È all’Ufficio Stranieri che si rivolgono, poi ciò che si deve fare lo concordiamo insieme. Comunque principalmente la casa, il lavoro. Oppure aiuti e consulenze per il permesso di soggiorno che magari gli sta scadendo o gli è appena scaduto.
- Normalmente, vedono il fatto di andare a scuola come una cosa positiva o no?
Dipende dall’etnia, dalla cultura… I gruppi familiari quando vengono sanno come funzionano le cose e quindi mandano i figli a scuola, perché capiscono che è fondamentale perlomeno imparare la lingua per potersi muovere in Italia… Quelli che danno più problemi sono i nomadi, che non vogliono assolutamente andare a scuola, perché per loro è una perdita di tempo. Gli altri bene o male a scuola ci vanno, e anche volentieri…
- Prevalentemente, gli utenti sono persone che vogliono migliorare la loro condizione o sono nuovi immigrati che chiedono di essere inseriti?
Entrambi. Possono essere persone nuovissime, o persone già precedentemente prese in carico, che hanno seguito un loro percorso e adesso hanno un’esigenza nuova…
- Capitano persone che vogliono essere aiutate per ciò che riguarda la salute?
Capitano, specialmente donne in gravidanza. Queste donne sono un’eccezione rispetto alla norma, perché vengono prese in carico e possono ottenere il permesso di soggiorno per gravidanza, fino ai sei mesi del bambino.
- E poi?
E poi devono trovare un modo per farselo rinnovare nuovamente, come un lavoro, se ha un permesso di soggiorno trasformabile… Ci sono enti che aiutano anche i clandestini…
- Ma non è il vostro caso…
No.
- Perché avete cominciato ad occuparvi di immigrazione? Quando? Come è cambiato nel tempo il vostro intervento per ciò che riguarda l’immigrazione? L’utenza è sempre la stessa?
Ce ne occupiamo dal ’90. Abbiamo iniziato con i nomadi, perché era un bisogno, in quel momento, del comune, era una situazione d’allarme. In linea di massima interveniamo dove si verifica una situazione di crisi, come un’ondata di albanesi, o di equadoregni ecc… Questo per quanto riguarda noi…
- Ti dispiace presentarti? Mi sono dimenticato di chiedertelo prima…
Mi chiamo Anna Rita Sgarban, sono nata a Genova nel ’71, ho fatto l’Istituto Magistrale e l’anno integrativo, sono stata tanti anni nella GESCI e, come dicevo prima, sono iscritta alla facoltà di psicologia, mi manca un esame per laurearmi.
Intervista ad un minore adolescente straniero
- Scusa se te lo chiedo di nuovo, ma devo registrarlo… Come ti chiami?
Erion.
- E da dove vieni?
Vengo da… Albània.
- Sei nato laggiù?
Sì.
- Quando sei venuto qua in Italia?
… otto mesi.
- Come sei venuto qua?
Gomone (gommone, nda).
- Con chi sei venuto, da solo?
Con mio amico.
- La tua famiglia è ancora in Albania?
Sì.
- Li senti ogni tanto? Gli telefoni?
Sì, sì. Li sento. Sì.
- E qui c’è qualche adulto che si occupa di te?
Ma… gli educatori, adesso. Vengono sempre.
- Hai dei fratelli, delle sorelle?
Sono in Albània.
- Perché hai deciso di venire qua?
Ma… sono andati tutti miei amici poi… ho pensato: anch’io, vado anche io ho detto, e sono arrivato.
- Raccontami un po’ i primi giorni, quando sei sbarcato…
Ma… prima sono sbarcato a Brinz (Brindisi, nda), poi sono andato a Milano, poi arrivato qui.
- Quando sei sbarcato non c’era la polizia?
No, no. Non c’erano. Ha passato ma… non abbiamo visto… non hanno visto, loro.
- I primi giorni, come ti sei trovato, qui in Italia?
Prima brutto, che ha detto che… dove ci sono? No? Non ho parlato niente, non sapevo niente in italiano, adesso… ha cambiato tutto, perché…
- Non parlavi italiano?
No.
- L’hai imparato qui, in italia?
Sì.
- E dove l’hai imparato?
A scuola e con i miei amici.
- È stato facile imparare l’italiano oppure…
Ma… è facile per imparare ma è difficile per parl… per… ehm… quando io ti sento, a te, ti capisco ma non riesco a trovare parole.
- Con chi parli italiano?
Con gli educatori.
- Sei legato alle tue tradizioni? Ti piacciono le tradizioni albanesi, la lingua albanese, la cultura albanese, la tua religione…
Sì, sì… piace…
- Ti senti albanese?
Sììì!
- Mi hai detto che vai a scuola… A scuola ci sono anche ragazzi italiani?
No. Sono solo stranieri.
- Solo albanesi o anche altri?
Sudamericani.
- Come ti trovi con loro?
Bene, sì, sì.
- Immagino che i sudamericani siano soprattutto ecuadoregni. Cosa pensi di loro? Ti trattano bene?
Sì, sì. Bene. Ma ci sono anche più grandi da me.
- Conosci dei ragazzi della tua età italiani?
Bé… ma io non esco con italiani, esco con miei amici albanesi. Lo conosco così… che gioco in pallone, a volte.
- Dove giochi a pallone?
A volte…
- Dove?
C’è un campo di là dove ci vediamo.
- E come ti trovi con questi ragazzi?
Bene.
- Ti trattano bene?
Sì.
- Hai mai avuto qualche difficoltà con loro?
No.
- Tutto tranquillo, non è mai successo niente?
No.
- Secondo te questi ragazzi italiani cosa pensano di te?
Boh… non lo so!
- Non lo sai?
Non ho idea, niente di particolare.
- Cosa pensi degli altri immigrati non albanesi? Ad esempio i sudamericani, gli africani… Che idea hai di loro? Sono delle brave persone oppure…
Ci sono bravi… ci sono anche cattivi. Non lo so, perché…
- Cosa pensi degli educatori? Come ti trovi con loro?
Ma… sono tutti bravi, sì.
- Hai dei buoni rapporti con loro?
Sì.
- Come sei entrato in questa cooperativa?
Ma ci sono andato a Questura. Poi questi mi ha trovato un… mi ha portato un… un… un del… un Hotel, no? Che è qua in via Balbi. Poi conosco gli educatori che mi hanno portato… mi hanno trovato da Villa Canapa (Villa Canepa, nda).
- E come mai sei andato in Questura? Ci sei andato tu o…
Sì, ci sono andato io.
- Per avere il permesso di soggiorno?
Sì.
- Te l’hanno dato, sì?
Sì, adesso sì.
- E certo, mi hai detto che vai a scuola… Cosa vorresti fare da grande? Una volta finita la scuola, vorresti continuare a studiare o vorresti lavorare?
Lavorare…
- Che tipo di lavoro ti piacerebbe fare?
Ma… mi hanno trovato un lavoro, è?
- Che lavoro è?
Un forno.
- In futuro vorresti rimanere qua o tornartene in Albania?
Sì, poi vengo qua, lavoro, vado, torno, così…
- Ce l’hai la ragazza?
(ride) No.
- Sposeresti una ragazza italiana?
Bah… dipende…
- Tu di quale religione sei?
Cosa?
- Sei cristiano, mussulmano…
Mussulmano.
- Vai alle funzioni religiose?
No, no.
- Cosa pensi degli italiani?
…
- Sono delle brave persone oppure no?
Ma ci sono, è? Ci sono.
- Secondo te, sono razzisti gli italiani?
(ride) Non so.
- Ti è mai successo che qualcuno ti trattasse male perché sei albanese?
No, nessuno, mai.
- Non ti è mai successo niente di brutto?
No.
- Dimmi la verità però, se no è tutto inutile!
Sì, sì.
- Ti piace imparare l’italiano?
Sì, sì. Mi piace.
- Quando vai a giocare a pallone…
Oggi si vado alle otto fino alle… dieci e venti.
- Ma quando ci vai, come sono le squadre, italiani contro albanesi?
No, ci sono i stranieri.
- E ragazzi italiani non ce ne sono?
No. Non ci sono perché si cambiano. Si giocano tutti stranieri: sudamericani, marocchini, albanesi.
- E gli italiani quando giocano?
Prima di noi poi giochiamo noi.
- E perché non giocate insieme?
Non lo so perché… due volte ci sono andato e non ho parlato tanto.
- Cosa pensi della polizia? Sono cattivi?
No! Per me no.
- Non hai mai avuto dei problemi con loro?
No, niente. Non mi hanno fermato.
- Com’è la vita in Albania? Cosa facevi?
Niente, prima ho studiato poi…
- Hai lavorato?
No, non ho lavorato.
- Vivevi in una città grossa o …
Piccola.
- Tuo padre cosa fa?
Niente, adesso non lavora.
- È più bello vivere qua o vivere in Albania?
Ma se ce l’hai i soldi in Albània è meglio!
- E se non ce l’hai?
Ehhh…
- Va bene non ho altro da chiederti, grazie di tutto. Ciao!
Ciao!
Se ne va senza neanche ringraziarmi della Coca che gli ho offerto…
Rapporto individuale di ricerca
La prima intervista, con l’operatrice Sgarban, si è svolta negli uffici della Cooperativa Sociale Agorà, in un ambiente ufficiale; l’intervistata ha dimostrato professionalità e competenza, rispondendo chiaramente alle domande con un tono, da entrambe le parti, rilassato ed esplicito, mettendo in luce l’impegno del Comune di Genova nel voler evitare che gli immigrati siano lasciati a se stessi con poche possibilità di dignitosa sopravvivenza, pur agendo con rigore e metodo. Inoltre, si svela la presenza sul territorio di vere e proprie società che realizzano utili, formano personale competente ed elargiscono stipendi, creando professionisti del sociale che lavorano a diretto contatto con gli immigrati, spesso in situazioni di estremo disagio e difficilmente gestibili (come nel caso degli zingari).
La seconda intervista si è svolta nella sala di un bar, per fortuna completamente vuota. Inizialmente avrebbe dovuto svolgersi negli uffici della Cooperativa Agorà, ma all’ultimo momento non c’è stata la possibilità e così ho dovuto improvvisare trovando un posto dove nessuno potesse disturbarci (e le aule vuote dell’Università non sono di conforto, in questo caso!). Quindi ho scelto il peggior bar di Piazza Della Nunziata, frequentato da (pochi) immigrati e pusher. Tutto avrebbe dovuto svolgersi, secondo ciò che mi ero prefissato da tempo, nella più assoluta tranquillità, se non fosse che la lettura di “Parole comuni, culture diverse” di Balboni, ha messo in discussione il mio rapporto con gli stranieri (siano essi albanesi o inglesi). Per questo ho aggiunto il commento, alla fine dell’intervista, “se ne va senza neanche ringraziare…”: io mi aspetto che chiunque mi ringrazi per avergli offerto da bere, ma forse Erion non lo riteneva opportuno, magari si aspettava ancora di più da me, che probabilmente sono il primo italiano che lo avvicina così tanto al di là dell’assistente sociale o degli educatori, o forse non sapeva cosa dire. Inoltre durante l’intervista ho cercato di analizzare il ragazzo nei minimi particolari, al di là di ciò che dicesse. La sua perenne smorfia di insoddisfazione all’inizio mi imbarazzava, pensando che forse non ne aveva voglia, gli stavo facendo perdere del tempo o magari gli ero antipatico. Invece, durante l’intervista, ho notato che, dopo i pochi momenti in cui ha sorriso, questa smorfia gli tornava immediatamente sul viso, rendendosi segno distintivo. Io mi rivolgevo a lui sorridendo, come si fa (qui) quando ci si rivolge a qualcuno con gentilezza, ma ad un certo punto ho cominciato a pensare che lui mi potesse ritenere stupido, o che lo stessi prendendo in giro, così ho smesso di ridere come uno scemo. Ma non ho adottato la sua smorfia insoddisfatta.
Una risposta su “Pedagogia interculturale: laboratorio di ricerca”
Buongiorno,
il lessico usato nel condurre questa intervista, e anche quello usato nel rapporto individuale di ricerca, è inadeguato. “Clandestino” è un termine di senso comune che non è presente in nessuna dicitura normativa; lo stesso vale per il termine “Pusher” e “immigrati” – è preferibile usare “migranti”, e comunque sempre in ogni caso utilizzare anche il termine “persona” – sono persone migranti, sono dei soggetti che compiono un’azione – altrimenti il rischio è di snaturare e appiattire tutto a lessico da propaganda; e lo stesso vale per “Zingari”, che è ritenuto offensivo dalle popolazioni e dalle persone Rom, Sinti e Camminanti, e quindi sarebbe preferibile non utilizzarlo se l’obiettivo è quello di creare uno spazio di dialogo equo, “interculturale”, di ascolto e, perché no, anche dissenso costruttivo, obiettivo che risulta difficilmente raggiungibile se si usano espressioni stereotipiche che reificano l’altra persona in modo univoco, a partire da categorie discriminanti e obsolete. E’ un po’ come aprire la conversazione in questo modo: “Buongiorno, sono interessato alla tua storia e condizione, raccontami la tua esperienza da immigrato mangiaspaghetti negli Stati Uniti”.